SYMPHONIC METAL: un genere incapace di rinnovarsi

by Giuseppe Turchi

Cosa sta succendendo nel symphonic metal? Gruppi, gruppi nuovi ovunque! Possibilmente forniti di cantante femminile, maschio alpha alle tastiere e un vasto repertorio di plug-in orchestrali con cui far impazzire il software di registrazione.

“Suvvia, qual è il problema?”, mi si potrebbe chiedere. “Era già successo coi vari Visions of Atlantis, Edenbridge, Delain, Xandria, Amberian Dawn, Katra, Epica”. E invece no, c’è un’importante differenza con quello che sta accadendo dal 2012 a questa parte. Infatti, più o meno tutti i gruppi che nacquero tra gli anni ’90 e i primi 2000 avevano un loro carattere ben distinguibile. Alcuni sono persino diventati dei mostri sacri a loro volta. La tendenza attuale, invece, punta verso una preoccupante omologazione a livello di estetica musicale. Sezione di archi abusate, cori, ancora archi, cantato sostenuto da cori operistici, punto. Aggiungiamo poi che buona parte dei gruppi storici pare essersi arenata negli stilemi che li hanno portati alla gloria, e il danno è fatto!

Ciò succede agli Xandria, portati dal fondatore Marco Heubaum ad adagiarsi nel solco lasciato dalla scissione tra Tarja e Nightwish; ai Diabulus in Musica, etichettati come “gli Epica di Spagna”; agli Enemy of Reality, che pure hanno il pregio di valorizzare la cultura ellenica; ai Beyond The Black, ultimamente troppo simili ai Within Temptation; ai Sirenia, involuti – per così dire – ancor più massicciamente nello stile Holopainen-Jansen/Janssen/Simons dopo l’addio di Ailyn; e poi ancora ai Sensorium, tanto simili ai Nightwish più power; fino ad arrivare a quel grande calderone contenente tutti i gruppi che appaiono  sulla colonna destra di YouTube nella sezione “Prossimi video” dopo aver guardato le clip di gruppi più noti.

Insomma, la ridondanza è divenuta la piaga infettiva del sottogenere in questione, dove a vincere ormai è la saturazione degli arrangiamenti e dove le melodie vocali diventano scontate. Personalmente, trovo che le cause scatenanti vadano cercate sostanzialmente in tre atteggiamenti:

  • Credere ancora che basti il suono di archi, una voce lirica e un coro alla Morten Veland per creare l’effetto “wow”.
  • Dimenticare che la sezione orchestrale dei legni e degli ottoni può creare atmosfere coinvolgenti.
  • Non pensare in termini di soundtrack, ovvero mettere la musica al servizio di un concetto o un’atmosfera, ma porre la magnificenza della melodia come unico fine in se stesso.

Se teniamo fermi questi tre punti, però, è possibile rintracciare alcuni gruppi che, nel loro modo di fare, potrebbero rappresentare un esempio per gli amanti del metallo sinfonico. Sottolineo “modo di fare”, inteso come concetto, e non come adeguazione degli spartiti a composizioni trite e ritrite.

I primi gruppi sono sicuramente i Nightwish di “Imaginaerum” e i Rhapsody pre-scissione, dove troviamo quasi sempre una perfetta contestualizzazione del brano e dove l’orchestra viene usata appieno. Qui l’atmosfera c’è, si sente, coinvolge, e non solo perché un coro erompe in mezzo alle sinfonie, ma perché è un contesto quello che viene supportato dagli arrangiamenti. Altro grande esempio da tenere in considerazione, seppur fautori di un genere più estremo, sono i Septicflesh di “Communion” per l’uso sapiente di legni e ottoni. Il sound magnifico e barocco di questo disco è vero un toccasana per le orecchie abituate ai riff catchy e ai ritornelli commerciali. Infine, grande motivo di ispirazione potrebbero essere i grandi portatori della piaga che stiamo esaminando, ossia gli Xandria, ma quelli di “Ravenheart” e “Salomé: The Seventh Veil“, quelli che, seppur con meno mezzi, guardavano a oriente e confezionavano prodotti interessanti. Oriente che, vorrei ricordare, è una culla di melodie esotiche da cui attingere a piene mani, dalla tradizione mediorientale a quella asiatica, per rinnovare una musica ormai fossilizzata sugli standard occidentali.

Con questa breve analisi del panorama musicale spero di aver dato alcuni spunti di riflessione su quanto sta accadendo negli ultimi tempi. Volutamente non ho argomentato con un confronto traccia per traccia, ma sono stato a un livello più generale per arrivare dritto al cuore del problema. Non si sta parlando infatti di musicisti scarsi, compositori senza talento o plagi indecenti: si sta parlando di atteggiamenti, di quell’inerzia che offusca la creatività e, se vogliamo, di quella fretta che il mondo contemporaneo impone ai musicisti, costretti a produrre più materiale di quanto i tempi creativi naturali consentirebbero. Il prezzo che l’arte sta pagando, però, credo sia sulle orecchie di tutti.

Alla prossima!

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1 commento

pizzu 18/01/2017 - 09:18

ah!

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