BLOODBATH – Un viaggio lungo la corsia dei ricordi death metal

by Giuseppe Piscopo

I Bloodbath, sicuramente il supergruppo più iconico perlomeno in ambito death metal, hanno appena rilasciato il nuovo album “The Arrow of Satan Is Drawn” (qui la nostra recensione) e si imbarcheranno a breve in un tour europeo insieme a Dimmu Borgir, Kreator e Hatebreed. Anders “Blakkheim” Nyström ha risposto ad alcune nostre domande sull’attività live, il processo compositivo dell’album e un po’ di altre cose.

English version


Ciao Anders, sono Giuseppe di MetalPit.it, grazie per il tuo tempo! Nel momento in cui scrivo, la data di uscita di “The Arrow of Satan Is Drawn” si avvicina: come vanno le cose al quartier generale Bloodbath?

Tutto bene, grazie! Ci prepariamo per andare in tour fra circa una settimana…

Le nuove canzoni sono ovviamente molto dirette, ma nonostante la loro brevità ci sono alcuni passaggi più intricati. Com’è si è svolto il processo di scrittura per quest’album?

Beh, le cose con i Bloodbath sono un po’ diverse perché non improvvisiamo o scriviamo mai come una band. Lasciamo invece che ogni membro scriva le sue idee mettendole a disposizione di tutti. Proviamo solo e soltanto quando cambiamo la scaletta live, nemmeno prima di registrare un album. La scrittura e la registrazione iniziano con delle versioni beta di demo iniziali, caricate in una cartella condivisa e pronte per ricevere critiche costruttive dall’intera band! Poi si susseguono un sacco di piccole e intricate modifiche nel tempo, fino a quando la canzone non diventa un vero e proprio demo, la versione che poi farà da base per quando registriamo in studio. La registrazione è poi suddivisa in più sessioni spalmate su vari mesi. Per esempio, la batteria per quest’album è stata registrata a febbraio, le chitarre a maggio, le voci a giugno e l’album è stato mixato a luglio.

Considerando che questo è il secondo lavoro con Nick Holmes alla voce, ci sono state differenze nella dinamica tra lui e il resto della band, in confronto a “Grand Morbid Funeral”?

Penso che il processo creativo e le dinamiche si siano evoluti. Abbiamo passato un paio di anni a suonare dal vivo e ora sappiamo cosa c’è da fare, cosa funziona meglio e cosa invece dobbiamo evitare. Prima di “Grand Morbid Funeral”, non abbiamo lavorato insieme, mai. Nick è arrivato per la prima volta quando era il momento di registrare le voci e non credo che avesse neanche sentito tutte le canzoni prima di allora. Questa volta ha proprio cantato sulle demo prima di entrare in studio, abbiamo collaborato su alcuni testi e ci siamo assicurati che tutti fossimo d’accordo su concept e grafiche. Direi che Nick è veramente in palla in questo periodo. Sta cantando in growl talmente spesso che è come una seconda lingua per lui, come ai vecchi tempi.

Una traccia che ha catturato l’attenzione fin da quando ne sono stati resi noti i dettagli è, ovviamente, “Bloodicide”. Mi sarei aspettato un maggiore coinvolgimento per gli ospiti, ma devo dire che il risultato è sicuramente positivo. Com’è nata la collaborazione?

Il nostro piano è sempre stato di avere tre ospiti cantare tre versi ciascuno nel ritornello, con Nick in chiusura: niente di più, niente di meno. Essendo vecchi amici, avendo vissuto la storia del death metal insieme, Nick ha semplicemente chiesto loro se volessero fare delle ospitate su una nostra canzone e, con nostra umile gratitudine, hanno accettato. È stato fatto in fretta e senza fastidi, tramite condivisione online, quindi non erano in studio con noi, anche se ciò sarebbe stata un’esperienza molto bella, sicuramente molto anni Novanta.

Sia il titolo dell’album che l’artwork sono piuttosto enigmatici. Puoi spiegarci questi due aspetti del lavoro?

Beh, sicuramente è qualcosa di diverso e lontano dalle copertine standard che trovi nei cestini death metal. Per farla breve, l’artwork è l’interpretazione dell’artista del nostro titolo, pensato da Nick. È un verso di una canzone nell’album e si è subito distinto con tale enfasi da diventarne il titolo! Queste parole sono espresse come un’istigazione, una dichiarazione profana che dovrebbe lasciarti con un sinistro sentore di incertezza. L’artwork spinge ancora di più quell’idea e la rende con una rappresentazione visiva.

Di tanto in tanto mi ritrovo a riascoltare “The Wacken Carnage”, un grande live che è stato anche il vostro primo concerto. Inoltre, si era detto che sarebbe stata anche il vostro ultimo: in quel momento, vi sareste immaginati che la band sarebbe stata ancora qui dopo tredici anni, con una grande attività live in atto?

Ricordo bene che quando abbiamo deciso di suonare a Wacken, nel 2005, dicevamo quanto sarebbe stato figo se quello fosse il nostro primo e ultimo concerto. In realtà siamo riusciti a mantenere il proposito per un paio d’anni, poi sono iniziate ad arrivare offerte, la lineup è cambiata e ci siamo ritrovati a riconsiderare il nostro punto di vista sull’attività dal vivo. È difficile prevedere qualunque cosa con i Bloodbath, non abbiamo piani che vadano oltre l’anno in cui ci troviamo. Dipendiamo tutti dai buchi liberi che abbiamo, quindi c’è ancora una bella dose di spontaneità. Lo facciamo per soddisfazione personale, per il divertimento e la nostalgia di correre lungo la strada dei ricordi death metal.

I Bloodbath sono ormai una band che suona live in maniera stabile, qual è stato il giro di boa da un progetto divertente in studio alla forma attuale?

Credo che l’idea sia nata intorno al 2008 quando abbiamo rilasciato “Unblessing the Purity”, volevamo davvero andare sul palco con il nuovo materiale, ma penso che il momento chiave sia arrivato nel 2015, quando decidemmo di suonare a più festival possibili. Ci ha davvero aperto le porte a un’attività live regolare.

I Katatonia sono in pausa, al momento: ovviamente le band degli altri ragazzi sono molto impegnate, ma possiamo aspettarci un’attività più intensa dai Bloodbath oppure vi dedicherete ad altro? Per esempio, Jonas ha pubblicato una gran bella canzone con i The Ocean…

Al momento non so davvero cosa ci riserva il futuro… C’è un sacco di roba che voglio fare, ma devo assicurarmi che il motore sia oliato per bene e che le ruote funzionino prima di partire, per così dire.

Da quel che ricordo, non siete venuti in Italia spesso, addirittura mai prima d’ora, e questo dicembre verrete qui insieme a Kreator e Dimmu Borgir. La lineup è piuttosto varia, cosa vi aspettate da questo tour?

Sì, sarà la nostra prima volta in Italia. È un tour esteso, grandi location e i biglietti vendono bene, quindi ci sarà anche parecchio pubblico. Il programma è molto diversificato e siamo felici di rappresentare il death metal, suonandolo in maniera old school svedese.

Ovviamente siete passati molte volte qui con i Katatonia: vuoi condividere qualche tuo ricordo legato al nostro Paese?

Sì, siamo venuti così tante volte lungo gli anni. L’Italia è stata la prima nazione in cui ho sentito il pubblico cantare le melodie di chitarra invece dei testi, così forte! Come un coro surreale! Era come essere a una partita di calcio, ma c’era la musica e non un pallone, un’esperienza molto forte per un giovane ragazzo al suo primo tour. Avevamo anche un’etichetta italiana all’inizio, quindi il nostro legame con l’Italia è stato forte fin da subito.

È tutto, grazie per il tuo tempo! Sentiti libero di dire ciò che vuoi ai nostri lettori!

Salute! Bellissimo! Ciao!

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