DESTRAGE – Questo è stato forse il disco che abbiamo scritto in meno tempo

by Samantha Galluzzo

Abbiamo avuto modo di seguire il release party e di fare qualche domanda i Destrage, in merito al loro nuovo disco e ai loro progetti. Qui di seguito vi riportiamo la chiaccherata, buona lettura!

 

Ciao ragazzi, è bello incontrarvi di nuovo dopo avere fotografato il release party che si è svolto al Circolo Magnolia lo scorso ottobre. Parliamo un po’ di “A Means to No End”: cos’è cambiato all’interno della band tra il primo e il secondo album e dal secondo al terzo?

Una delle grandi fortune nostre è che noi non abbiamo cambiato nessuno nel corso di tutto questo tempo… però è cambiato il metodo compositivo, è cambiato quello che andiamo cercando… quello che vogliamo creare. Proprio a livello compositivo il cambiamento grosso c’è stato tra il disco passato e questo, perché abbiamo composto tutti e cinque insieme e da lì sono saltati fuori gli scheletri dei pezzi, ecco… è un metodo che non avevamo mai sperimentato.

Prima chi si occupava della stesura?

Prevalentemente Matteo e Paolo.

Parlatemi un po’ del titolo dell’album e della copertina.

“A Means to No End” è un po’ la sintesi di quello che sono gli argomenti trattati nei testi. A livello di testi si parla del rapporto con la paura, del rapporto con se stessi, con gli altri, attraverso l’uso di metafore o di storie che ne parlano. “A Means to No End” (un mezzo per un non fine) vuole sottolineare il fatto che tutto questo sia parte di un percorso conoscitivo che non ha un fine, che è un insieme di momenti che vanno vissuti, che devono essere vissuti… che è un po’ come per noi deve essere visto anche tutto il resto; dalla musica, che deve essere per noi sempre in continua evoluzione, non ci si deve concentrare tanto su quello che è il fine, anche il mezzo stesso che può essere la musica o comunque le parole con le quali tu esprimi la tua idea è importante di per sé. Un focalizzarsi non soltanto sul dove si vuole arrivare, ma anche sul come lo si sta dicendo. L’artista è una ragazza inglese di origine polacca, Eva Bowan, a cui abbiamo lasciato carta bianca…l’idea di usare una bambina l’avevamo in realtà già in mente noi. Lei l’ha sviluppata poi per altre vie…le farfalle le ha messe lei…ne aveva messe di più, praticamente si è letta tutti i testi… alla fine poi abbiamo optato per le 4 farfalle. Una delle farfalle è senza la testa, perché c’è una storia strana che sa Matteo (che ha un amico che alleva farfalle) per la quale si ritiene che le farfalle senza testa si accoppino più facilmente… il maschio senza testa vive tanto a lungo quanto un maschio non decapitato, magari dicendo così la cosa sembra meno brutale. In ogni caso il maschio adulto ha la bocca atrofica, non si nutre più, quindi in ogni caso morirebbe entro pochi giorni. L’unico vero obiettivo dell’insetto adulto è l’accoppiamento, senza questo una serie di uova non verrebbero fecondate. E’ per questo che la farfalla che non si accoppia è un mezzo senza un fine.

Quali sono le vostre influenze principali?

Principalmente: Smashing Pumpkins, Prodigy, Beastie Boys, Pantera, Metallica, Aerosmith, Beatles, Pink Floyd, Alice in Chains, Radiohead, Nirvana… ognuno di noi ha le sue derive, anche al di fuori dell’ambito “rock”.

Come vi siete trovati… da chi è partito il progetto “Destrage”?

Abbiamo cominciato io (Matteo) e Paolo al liceo, c’erano alcuni nostri amici… la band si chiamava già così all’epoca, ma non c’entrava nulla coi Destrage di ora… facevamo cover, dopodiché c’è stata la naturale evoluzione delle cose. Le tre persone che erano con noi hanno deciso di prendere le loro strade e sono arrivati subito loro tre Gabriel, Ralph e Fede… questo tutto a cavallo tra l’EP che ci ha fatto firmare il primo contratto discografico e il primo disco. L’inizio dei Destrage è quando sono arrivati loro.

Chi è la primadonna della band?

Non c’è. Anzi, non sa di esserlo.

Raccontateci qualche episodio particolare accaduto in tour.

Giappone. Eravamo in un ristorante molto tradizionale e dopo un po’ in questa saletta privata dove stavamo mangiando arriva questa “Koshian Roulette”, roulette di wasabi… un piatto con dieci palline, una di queste è mortalmente impregnata di wasabi, le altre sono innocue. Una pallina a testa, si mangia e si guarda in faccia chi è quello che muore, tipo roulette russa; c’era questo giapponese che sembrava praticamente immune e allora abbiamo cominciato a sfidarlo, siamo andati avanti sniffando, ma anche quello sembrava non fargli effetto e alla fine gli abbiamo detto “ma a te non dà fastidio neanche nel c*lo il wasabi?!” e lui ha detto “no.” e quindi… avevamo tipo duemila yen (20 euro) che ci avanzavano… glieli abbiamo messi lì e lui ha vinto la scommessa… e noi che per 20 miseri euro ci aspettavamo che rinunciasse! Ed è tutto ripreso! (nel documentario che filma il tour europeo/giapponese).

Qual è la band migliore attualmente presente alla piazza in Italia?

Erano gli About Wayne, poi hanno deciso di sciogliersi. Ce ne sono tanti, di tanti generi…

Questo ultimo disco dove l’avete registrato?

Tutto da Larsen (Premoli) presso Rec Lab Studios.

Quanto ci avete messo a partorirlo?

Abbiamo cominciato da zero a gennaio 2015. Forse questo è stato il disco che abbiamo scritto in meno tempo. Siamo entrati in studio i primi di febbraio 2016.

Quanto spesso provate?

Dipende, a ridosso delle date anche due/tre volte a settimana. Poi in caso di date ravvicinate, la sala prove diventa il palco stesso.

C’è qualche cosa che non vi ho chiesto, che magari vorreste dire del nuovo album?

Quanto è bello da uno a dieci? Dieci.

Bene, questa era l’ultima, avete carta bianca!

Grazie ragazzi, ci vediamo prossimamente sui palchi in giro per l’Italia, visto che tra poco riparte il tour!

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