FLESHGOD APOCALYPSE – Siamo una band che si basa sull’interezza di un concetto. Siamo una vera e propria concept band

by Manuel Demori

Metalpit ha avuto il piacere di intervistare il carismatico Tommaso Riccardi, chitarra e voce dei Fleshgod Apocalypse. Prima del concerto ci siamo fermati a chiacchierare sulle soddisfazioni di quest’anno appena passato, dei loro strumenti musicali, della loro esperienza in Nuclear Blast e di molte altre curiosità!


Ciao Tommaso, benvenuto su Metalpit. È stato un anno molto intenso per i Fleshgod Apocalypse. L’uscita di King a febbraio, la promozione, i festival estivi, il tour italiano e il tour usa in supporto agli Epica. Nemmeno il tempo di iniziare il 2017 e già vi incontriamo alla terza data del vostro primo tour europeo da headliner. Un anno pieno di soddisfazioni, almeno da come lo vediamo noi dall’esterno. Com’è invece viverlo da protagonista?

Il tour è iniziato alla grande. La prima data a Monaco ha fatto un bel pienone, e anche ieri a Graz è andata molto bene, quindi si prospetta un bel tour. Con i Carach Angren ci abbiamo lavorato svariate volte, i Nightland hanno una componente visiva molto forte e gli show si incastrano molto bene. Il pacchetto piace ed effettivamente è la primissima volta che facciamo un tour europeo da headliner. In febbraio abbiamo fatto il nostro primo tour da headliner negli Stati Uniti, quindi King ha consacrato questo aspetto ed è molto bello, ma per certi punti anche stressante. È un po’ come vincere un titolo e doverlo difendere… è un po’ diverso da fare il gruppo di supporto.

Quest’estate ho avuto occasione di vedervi al Metaldays. La risposta del pubblico è stata fantastica, come immagino in tutti gli altri festival in cui avete suonato. Dove preferite suonare ai grandi festival o in luoghi più piccoli come club o locali? Hai qualche ricordo particolare del Metaldays?

Confermo che anche dall’interno è stato un bel concerto. A livello energetico le emozioni più grandi le hai nei Club, dove la gente e vicina e il rumore del pubblico lo senti forte, mentre nei grandi festival la distanza con le persone è molta. Poi dipende, perché non è sempre così e alcuni festival regalano poi sensazioni grandiose… il Metaldays è proprio uno di questi e per me personalmente è stato uno degli show più belli della mia vita per una serie di motivi. Primo fra tutti, perché nel 2008 ho vinto un contest con una delle mie precedenti band che ci ha mandato a suonare sul second stage e per me fu un esperienza traumatica in senso negativo. Non per il gruppo, ma era un momento molto particolare della mia vita in cui ero quasi a rischio musicalmente parlando, di mollare un po’ la cosa perché non ero soddisfatto di molte cose. È buffissimo che dopo quell’estate è iniziata tutta la storia con i Fleshgod Apocalypse, che mi ha portato dopo otto anni a suonare sul main stage dello stesso festival.

Date molta importanza alla presenza scenica della band sul palco, con i vestiti in stile 800, il pianoforte ecc. Oltre alla musica, che deve essere una prerogativa, quanto è importante presentarsi bene alla gente? È anche grazie a questo che molti vi hanno conosciuto e si sono incuriositi ai Fleshgod Apocalypse?

Sicuramente si. I Flashgod Apocalypse sono una band che si basa sull’interezza di un concetto. Siamo una vera e propria concept band, quindi non si può distaccare nessuno degli aspetti di quello che facciamo. La musica, i videoclip, i live, le fotografie, i testi fanno tutte parte di una sola cosa. Noi la consideriamo una nostra forma d’arte. Non è una questione di suonare travestiti, si tratta di lanciare un messaggio nella sua interezza per esprimere delle cose che altrimenti sarebbero inesprimibili.

Come è nata l’idea di ispirarvi proprio a questo periodo storico?

L’idea è nata da un riff. Ricordo benissimo il giorno in cui Francesco Paoli scrisse la prima bozza del primo riff in assoluto dei Fleshgod, Infection of the white throne. Mi disse che sarebbe bello fare questa cosa con una progressione neoclassica dentro questa ritmica death metal. E poi da un semplice metti un vestito che ricorda quel periodo esce fuori tutto un immaginario, che ha fatto diventare i Fleshgod quello che sono oggi.

Volevo chiederti qualche curiosità sui vostri strumenti. Le chitarre e il basso sono marchiate Rufini. Puoi raccontarci qualcosa?

La primissima versione di questi strumenti l’abbiamo sviluppata con una liuteria chiamata Overload di Roma, poi per una serie di ragioni abbiamo deciso di passare a lavorare con Rufini. Personalmente sono rimasto estremamente colpito dalla qualità di quello che fa e dalla meticolosità che ci mette. Rufini è veramente un liutaio di altissimo livello e con lui, da una nostra idea, abbiamo sviluppato la versione 2.0 dei nostri strumenti, che riprendono molto gli strumenti classici, con le loro intarsiature e contestualizzati alla nostra immagine. Rufini lavora da solo, fa tutto a mano e quindi ogni strumento è unico. Da poco nel nostro merch store si possono trovare in vendita le nostre chitarre signature e anche queste vengono fatte a mano una ad una dopo l’ordine. Per noi è molto importante promuovere il Made in Italy.

Mentre il pianoforte? Ammetto che come presenza scenica sia il massimo. Ci sono difficoltà a scarrozzarlo in giro per il mondo?

Considera che abbiamo più pianoforti in giro per il mondo. Già qualche anno fa ne abbiamo spedito uno negli Stati Uniti e lo teniamo la. Stiamo pensando ad una versione supercompact del pianoforte che sia smontabile e ne abbiamo già parlato con Rufini, vediamo come andrà. Ovviamente è impegnativo e ci maledicono in certi luoghi dove andiamo. Il peggio verrà quando decideremo di portare il piano a gran coda, quindi devono ritenersi fortunati quelli che lavorano nei locali finché c’è solo il piano verticale (ride)

Dopo i festival europei, avete intrapreso un minuzioso tour italiano, suonando in poco più di 20 giorni 14 concerti. È una scelta coraggiosa, anche perchè suonare a pochi giorni di distanza in luoghi vicini, si rischiava di non riuscire a riempire i locali. Come avete preso questa decisione è tirando le somme come è andata?

Siamo molto contenti che anche l’Italia ci apprezzi. Personalmente per il tour italiano avrei fatto un po’ di meno e un po’ più mirato, ma nell’organizzazione di un tour entrano in gioco tante entità e non sempre si riescono a fare le cose come si pensano all’inizio. Ci sono stati alti e bassi come in tutti i tour e specialmente in Italia dove purtroppo la scena è molto debole, bisogna fare le cose mirate, anche perchè non puoi spingere più di tanto. In ogni caso quando noi andiamo a suonare, che ci siano 10 o 20.000 persone, il nostro show è sempre ai massimi livelli.

Ormai siete da anni sotto la Nuclear Blast. Ci puoi raccontare come siete arrivati a firmare un contratto con l’etichetta metal più importante del mondo?

Nel nostro caso a spallate (ride). Siamo ancora rinomati per questo in Nuclear Blast. Siamo andati per ben tre volte in macchina alla sede della Nuclear, senza prendere appuntamento a rompergli le palle. (ride) Chiaro è che Nuclear Blast non fa l’elemosina e te lo devi guadagnare. La prima volta era dopo un festival in Nord Europa durante la promozione di Oracles. Andammo li ancora sporchi di fango, in quel periodo giravamo in macchina a fare i concerti e consegnammo Oracles. Dopo un po’ ci risposero che ancora era presto. Poi usci Mafia, che era un Ep, ma era già rappresentativo del cambiamento nel nostro sound. Tornammo li e ci dissero che il prodotto era valido, ma ci voleva ancora tempo ecc… Poi la cosa nacque durante il primo tour in America con i Suffocation, dove a Los Angeles ci venne a vedere il responsabile di Nuclear Blast in Usa a cui piacque molto il concerto. Fu lui poi che spinse per primo il nostro ingresso. Devi sapere che non è automatico avere come etichetta Nuclear Blast sia in Europa che negli Stati Uniti. Molte band che magari sono sotto la Nuclear negli Usa, non lo sono in Europa e viceversa. A noi a gennaio fu fatto un contratto worldwide, ma con la clausola di consegnare il nostro prossimo album Agony entro l’estate. E con due tour in mezzo, ti lascio immaginare che impegno sia stato.

Dopo il tour italiano siete partiti per gli Stati Uniti a supporto degli Epica. Oltre alla logistica anche la copertura delle spese è un problema a cui pensare. Chi ci pensa e come funziona l’organizzazione di un tour del genere?

In un tour del genere arriva una proposta, nel caso degli Epica il loro manager ci aveva visto al 70.000 Tons of metal e gli siamo piaciuti. L’intermediazione viene fatta attraverso il management, quindi c’è Hard Impact che si occupa di questo sia con l’etichetta che con tutte le proposte di live. A questo punto la palla passa ai booker, quindi a Continental Booking, che si occupa di interagire con tutti i promoter di tutti i locali dell’intero tour e poi tutto questo passa attraverso noi. È un lavoro gigantesco, dietro un tour del genere ci sono 6 mesi di lavoro. Noi siamo in tour ora e già lavoriamo per il tour australiano che sarà a giugno.

Il vostro ultimo album, King ha avuto un enorme successo.  A quasi un’anno dall’uscita, come lo valutate. E’ andato oltre le vostre aspettative?

Io direi di si. Siamo partiti molto agguerriti, la Nuclear Blast ha investito di più, una buona produzione , Kick Studios, Jens Bogren ecc… Tutte queste cose hanno fatto si che King funzionasse così bene. Però per certi versi ci sono state delle cose inaspettate. Siamo partiti per fare un disco di rottura che ci spingesse oltre, però effettivamente, sia a livello di vendite, streaming e visualizzazioni, sia soprattutto a livello di reazioni live, facendo vari sold out, tra cui New York e il Whisky a Go Go di Los Angeles di lunedì, anche con i commenti della stampa siamo andati oltre all’immaginabile.

Da Mafia ad oggi siete cresciuti moltissimo, sia di fama che di tecnica. Il successo ha cambiato qualcosa nelle vostre vite ?

Mah che dire… io personalmente non è che percepisco il successo come una cosa del tipo “Ecco sono un figo”, ma un mezzo che mi viene dato per poter comunicare a sempre più persone quello che ho dentro, dandomi un senso sia di responsabilità, ma anche di libertà. E poi il fatto che questo ci porti a stare spesso in giro e lontano dalla famiglia, mi fa apprezzare sempre di più le cose piccole che sono le più importanti.

Grazie mille Tommaso. Vuoi fare un saluto ai lettori di Metalpit?

 

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