GAME OVER – Il thrash metal ha bisogno di qualcuno che faccia parlare di sè

by Loris Clerico

I Game Over sono una realtà di spicco nella scena thrash metal italiana, con alle spalle dodici anni di carriera e quattro album che li hanno portati a suonare in Italia, Europa e non solo. Abbiamo avuto l’occasione di intervistare i quattro membri della band: i chitarristi Alessandro Sansone e Luca Zironi, il bassista e cantante Renato Chiccoli e il batterista Anthony Dantone. Buona lettura!

Ciao ragazzi e benvenuti su Metalpit, è un grande piacere intervistare una band del nostro bel paese! come state? come state vivendo questo momento tra lockdown e pochi live? Vi manca suonare dal vivo e fare i vari tour? 

Renato: Ciao! Beh, stiamo vivendo un po’ come si può, ovviamente è un po’ tribolante la situazione, stiamo sempre con le spalle al muro, anche se bisogna prendere le proprie precauzioni, è uno stress generale… per la storia dei live è una bella mazzata, anche se è un po’ che non suonavamo già da tempo, abbiamo annullato un tour con i Tankard, e ora dobbiamo aspettare. Di tour lunghi non ne abbiamo in programma.

In base ai decreti emanati dai governi e alle decisioni prese dagli organizzatori/promoter dei live, come stanno procedendo le cose, secondo voi? Come vedete il futuro della musica?

Renato: Secondo me alla fine di questa situazione, che finisca tra 6 mesi o 1 anno, bene o male tutto tornerà come prima, fra un anno non ci saranno più problematiche o pensieri riguardo a questo caos generale, bisogna sperare che le strutture che invitano i gruppi a suonare rimangano aperte e tengano botta a questo duro colpo. Anche perché i gruppi mainstream non se ne accorgono bene o male… il problema grosso è per i gruppi piccoli o medi, i quali hanno più preoccupazioni.

Anthony: E poi anche per gli organizzatori non è una situazione facile perché non ricevono aiuti dal governo italiano, non vengono supportati dai piani alti, ci vanno in mezzo gli artisti ed i promoter.

Renato: Secondo me dopo questa situazione, molte sale da concerto e i locali si saranno obbligatoriamente adattati, se sono sopravvissuti. Io sono tutto sommato abbastanza positivo, la musica dal vivo ritornerà, la gente avrà di nuovo voglia di andare ai concerti, anche con un certo sprint.

Riascoltare tutti i vostri album che sensazioni vi dà? C’è qualche ricordo particolare legato a qualche disco o qualche canzone?

Alessandro: Te ne racconto una… durante una data è arrivato il signore che ci affittava la stanza ed è entrato in bagno mentre Renato era sotto la doccia ed io pettinavo Luca ed è stata una scena un po’ imbarazzante. (ridono)

Renato: Quando eravamo giovani, e spensierati, era tutto molto spartano, vivevamo in questa casetta affianco allo studio ed abbiamo un po’ fatto la vita dei ragazzacci! Poi c’è sempre quell’effetto nostalgico, dove apro i libretti e dico “ah guarda quanti capelli avevo lì!” E anche quando ascolto i dischi c’è questa nostalgia, perché poi si contestualizza ogni album, anche quello che si è fatto. Registrare un disco significa ascoltare quelle canzoni all’infinito, 30, 40 o più volte, anche nei mesi successivi alle incisioni le ascolti sempre, quindi quel periodo della tua vita viene molto caratterizzato da quei pezzi, per me ci sono dei periodi fissi della vita.
Tra l’altro dopo ogni fine sessione di registrazione di un disco io mi mollavo con una morosa diversa.

Anthony: Ma questo è un tuo feticcio (ride)

Luca: Si, diciamo che aneddoti ce ne sarebbero tantissimi, anche in sala registrazioni. Vedi quando eri giovane, cosa hai fatto, e quando riascolti rivedi tutto con un occhio diverso, avendo maturato una certa esperienza. Ad ascoltare oggi il primo disco… poteva venire meglio. Mi ricordo che quando abbiamo registrato il primo disco Renato era l’unico che sapeva suonare seriamente. Noi tra il primo e secondo disco abbiamo migliorato tantissimo e il livello musicale è cresciuto tantissimo.

Anthony: l’aneddoto che ricordo di più è quando registravamo “The Eyes (Of the Mad Gardner)” perché è stato il primo brano fatto insieme, non rimanevo neanche a dormire in studio, lavoravo, scendevo facevo il disco, tornavo subito a casa, non tornavo neanche in albergo.

Renato: Io per esempio dei dischi registrati in passato non cambierei niente, tranne… le mangiate di cappelletti prima delle registrazioni di voce. Le sento ancora, facevamo le registrazioni con Simone Mularoni dei DGM, e durante la pausa pranzo andavamo in questa trattoria dove mangiavamo molto e bevevamo vino rosso. Solo che dopo non avevo né la lucidità e nemmeno la saggezza per registrare… (ridono)
Lo sento ancora oggi il cappelletto sullo stomaco!

Che aspettative e/o obiettivi avete diciamo da qui ai prossimi 5 anni? Tour, merchandise, promozioni, nuove produzioni e via dicendo…

Anthony: Stiamo lavorando ad una ristampa di un nostro disco. Uscirà più avanti, con del merchandise nuovo, e sicuramente ci piacerebbe lavorare su nuovi progetti e ovviamente anche tornare a suonare all’estero, è da un po’ che non ci andiamo.

Vi piace suonare all’estero? Vi trovate bene?

Renato: Sì, diciamo che l’Europa l’abbiamo girata tutta, siamo stati all’estero molto spesso, anche negli Stati Uniti, Giappone e Cina. Sono esperienze di vita che ci piace fare. In Cina ci siamo stati prima che diventasse mainstream, abbiamo suonato in posti molto underground, ora ne parlano tutti, ed è diventata, appunto, mainstream. Siamo i “Marco Polo” della musica, c’era sempre molta gente che veniva comunque a vederci anche se non sapevano chi fossimo, mentre in altre città come Pechino e Shangai c’erano i ragazzi più giovani che erano più informati e sapevano qualcosa di più sul nostro conto, è sempre un’opportunità, e comunque musicalmente è sempre andato tutto per il meglio. Abbiamo suonato quasi di più sul suolo estero che quello italico. Mentre sul suolo italico la gente è quella, bene o male… lo zoccolo duro rimane, ma non sono molte persone diverse. Diciamo che suonare all’estero è sempre importante perché comunque è il canale principale, anche se il mondo è cambiato rispetto a quando abbiamo iniziato noi, ovvero oggi ci sono tanti gruppi che con l’arrivo di internet suonano meno, ma riescono a farsi conoscere ugualmente, sfruttando al massimo la rete e andando a prendere meno la gente fisicamente. Nel futuro pensiamo di andare a fare meno concerti ma in posti più mirati. Anche se, ora come ora, abbiamo così tanta voglia di suonare che dove ci chiamano, andiamo!

In futuro vi piacerebbe collaborare con qualche ospite speciale?

Luca: Io non ci ho mai pensato, non so voi ragazzi, non ne abbiamo mai parlato in realtà.

Renato: Non so se tu intendi una guest star che ti faccia un assolo in un pezzo o un ritornello cantato, non saprei quanto ritorno ti dà, anche perché oltre al ritorno, costa abbastanza. Secondo me è più per una soddisfazione personale che per una questione di ritorno.

Alessandro: Si potrebbe fare con degli amici che hanno una band, o con artisti con cui abbiamo suonato, tipo con gli Exciter, dato che ci abbiamo suonato assieme. Ci abbiamo pensato, se non ricordo male, a fare un featuring con un membro dei Nuclear Assault.

Renato: Potrebbe essere un’idea, non ci abbiamo mai pensato seriamente, mi piacerebbe fare un lavoro, semmai un EP solo in digitale, con una line-up con un’altra band ad 8 elementi, sarebbe una buona idea.

Luca: Se ci pensi, non è una vera e propria collaborazione, perché solitamente tu chiedi di suonare o cantare quel pezzo di musica e loro eseguono, non è del tutto una collaborazione completa, il pezzo non viene scritto assieme. Non è come succede con i gruppi grossi, che si trovano e provano, riprovano e suonano e allora nasce qualcosa.

Quest’estate nel mese di luglio avete pubblicato la cassetta del vostro lavoro chiamato “Burst Into the Quiet”, rilasciato originariamente tramite la Scarlet Records nel 2014. Come mai questa decisione? Sono state soddisfatte le aspettative di vendita?

Luca: L’idea è nata dal nostro manager, la cassetta è stata fatta e pubblicata tramite la Reborn Through Tape Records (acquistabile qui) e noi abbiamo pensato “Perché no?”. Se non sbaglio sono state vendute quasi tutte le copie, direi che è andata davvero bene dato il formato molto underground. È un oggettino carino, anche se la qualità non è il massimo, ma è divertente da avere in più, da collezione.

Renato: Diciamo che oggi come oggi, bene o male, la musica viene ascoltata online, avere il vinile il cd o la cassetta è essenzialmente uguale e spesso rimane lì come soprammobile, però è una cosa carina da avere come oggetto. Io stesso compro dei cd e poi a volte me li vado ad ascoltare su Spotify, quindi la cosa è proprio per avere il disco o la cassetta che per ascoltarlo in sé. Addirittura negli ultimi anni c’è stato di nuovo il boom dei vinili, che hanno superato la vendita dei cd. Alla fine uno fa un calcolo e con pochi euro in più uno compra il vinile, soprattutto perché è più bello. Comunque sì è andata molto bene, eravamo i primi assieme ai Bulldozer, e secondo me è una cosa che fa bene sia alle band che all’industria musicale.

Dalla pubblicazione di “Burst Into the Quiet” ad oggi sono passati 6 anni e nel frattempo avete pubblicato diversi album in studio, come vedete quel disco al giorno d’oggi? 

Luca: Sinceramente è un disco abbastanza compatto, un buon lavoro anche a distanza di anni, l’artwork mi piace un botto tutt’ora. È un disco che anche se ha solo qualche anno di vita, non suona ancora vecchio, cosa che succede anche con altri dischi degli anni ‘80 per esempio.

Alessandro: Quello di quel lavoro è sicuramente l’artwork più bello che abbiamo in casa Game Over. Secondo me è il disco più spontaneo e anche più da live.

Renato: A mio parere è il nostro miglior disco, invecchia bene e ci rappresenta esattamente per come eravamo all’epoca, è bello tirato, massiccio rispetto per esempio al primo, ed è venuto proprio bene per come volevamo che riuscisse.

Oltre alla musica, quali sono i vostri hobby e le vostre passioni?

Luca: Oltre a suonare mi piace molto la storia romana, infatti mi laureai in quello, poi faccio illustrazioni, artwork, che è anche il mio lavoro, e ultimamente anche animazione.

Anthony: Io musica e musica, ovvero o suono o studio in conservatorio.

Renato: Io sono laureato in ambito umanistico, mi piace leggere, se fossimo in un gioco di ruolo io sarei un bardo e un hobby che ci lega tutti e quattro è la cinematografia horror.

Parliamo del music business: quali sono i cambiamenti positivi e negativi che il mercato musicale ha portato negli ultimi anni secondo voi?

Luca: Secondo me Spotify non ha portato a un cambiamento notevole rispetto a prime, però è comunque più semplice arrivare alla musica e soprattutto più legale. Con Spotify hai ascolti gratuiti con molta pubblicità, altrimenti paghi e togli questa pubblicità. Se pensi a quanta energia, tempo, denaro spende un singolo artista per comporre un disco (c’è gente che ci vive facendo musica, anche se non è il nostro caso) ci sono individui che potrebbero infastidirsi.

Anthony: Secondo me Spotify ha sistemato un po’ le cose… siamo passati dal momento dove tutti scaricavano ad oggi dove non compri più il cd, ma comunque c’è una parte che riesce a guadagnarci anche grazie al digitale. È molto comodo in macchina, lo colleghi e ascolti da lì quando vuoi, poi ci sono gli appassionati che comprano ancora il cd, il vinile o la cassetta, ma è più una cosa da collezione. Ho letto che, come fa Netflix che si produce il suo materiale da sé, anche che Spotify vorrebbe produrre i propri artisti come etichetta discografica, quindi chiaramente ti aumenterebbe la visibilità sulla piattaforma e secondo avresti più guadagno. Questo cambierà tutto, come Scorsese con il film “The Irishmen”. Avverrà prima o poi, nel bene o nel male. Chiaramente le band medio – piccole saranno quelle più tagliate fuori.

Luca: Saranno loro probabilmente che terranno in piedi le etichette discografiche, non potendosi permettere di stare sotto Spotify, magari avranno le etichette che li aiuteranno di più e Spotify verrà messo un po’ da parte. Sicuramente il contratto che avremo noi non sarà quello che avranno i Metallica, chiaramente loro possono trattare di più, loro hanno un potere contrattuale maggiore.

Alessandro: Anche i gruppi nuovi per esempio pubblicano un disco, in vinile per esempio, e assieme ti danno un codice per ascoltarlo online, quindi alla fine è un oggetto da collezione.

Renato: Tanti lo fanno, è chiaro che è inteso come oggetto da collezione, per supportare il gruppo. Io ho a che fare con ragazzi più giovani,  e una volta gli ho detto nel 2002 non c’era Youtube, e loro mi hanno risposto “Com’è possibile?” eh, una volta funzionava in modo differente. Una volta guardavo RockTv e quando mi appariva il video figo stavo attento al nome e mi segnavo la band, poi compravo il dvd dalla Nuclear Blast, con i video dei nomi che mi ero segnato. È come il disco live, non ha più senso produrli, ormai è tutto su Youtube, apri, scrivi, clicchi e guardi. Noi abbiamo vissuto il passaggio, dal momento che i dischi si vendevano siamo passati ai dvd piratati, ad una rivoluzione totale con i download online. Noi abbiamo vissuto un passaggio simile a quello del disco registrato, alla musica riproducibile in casa; prima la musica ce l’avevi solo se andavi nel locale a sentire la band, dopo bastava avere un apparecchio per poterla riprodurre. Anche a livello di presenze e partecipazione ai concerti siamo in un momento dove con i social network la gente comunica da casa ed esce meno, una volta non esisteva, uscivamo tutti. Infatti anche negli anni ’90 e primi anni 2000 c’erano band piccole che giravano e comunque vendevano anche 10.000/15.000 copie, oggi forse ne vendono 2000. In Italia ci lamentiamo molto per i concerti dal vivo, ma è un circolo vizioso, ci lamentiamo ma se andiamo a vedere non supportiamo né le band, né i locali che organizzano queste serate.

Luca: Bisogna che ci si adatti alle nuove tecnologie. Secondo me noi siamo nati nel momento di anarchia totale.

Siamo nel 2020, band appartenenti alla “vecchia guardia” come Anthrax, Megadeth, Destruction e Testament pubblicano sempre ottimi lavori, ma abbiamo anche nomi grossi come gli Slayer che hanno abbandonato la barca per sempre (in teoria)… Cosa pensate riguardo il mondo del thrash metal di oggi?

Alessandro: Male, molto male. L’unica band che salvo sono gli Overkill.

Renato: L’ultimo dei Sodom non mi è piaciuto. L’ultimo dei Testament così così… anche se quelli precedenti mi sono piaciuti. Le cose si sono rovesciate rispetto ad una volta, oggi fare il disco è il pretesto per fare il tour ed essere chiamato dal vivo. La cosa migliore l’hanno fatta i Twisted Sister, giravano con le solite canzoni, un best of, tanto la gente vuole ascoltare quello, è inutile fare un disco solo perché si è obbligato se poi rischia di essere una cagata. Nessuno si innamora dei Sodom ora per il loro ultimo disco, tutti ci innamoriamo di loro tramite “Agent Orange”. Arrivare a 50 anni e dire ancora la propria è difficile, l’intuizione geniale ce l’hai a 25 anni, bene o male ci puoi girare intorno, puoi cambiare qualcosa, e devi mantenerti su quella strada lì per non deludere i fan. Se devi fare un disco che potrebbe fare una band di quattordicenni, solo per avere il pretesto di suonare, meglio non fare nulla, ci sono canzoni che nessuno vuole sentire perché sono brutte. Loro continuano a fare dischi e se lo fanno vuol dire che qualcosa ci guadagnano ancora. Tour, chiamate nei festival, dischi venduti… Ci sono band come i Megadeth, i Metallica, che io adoro, e ad oggi sono dei marchi, e quindi sono obbligati a fare dischi e tour. Poi ci sono band di “mezzo” come i Destruction e i Sodom, che lo fanno di lavoro, senza fare i milioni, per cui non possono stare fermi per anni, non lo fanno perché hanno bisogno di far parlare di sé; che poi ci dobbiamo preparare tutti a vedere questa gente sparire, chi ha fatto i soldi bene, chi no pazienza. Sperando che in questo settore nasca una nuova industria anche da live, sopratutto in questo genere.
È un genere che è stato inventato negli anni ‘80 e ha detto molto, con un forte messaggio. Ad oggi secondo me c’è bisogno di qualche band che dia una bella spinta e non solo a livello di soldi ma anche a livello di live, bisogna che ci sia qualcuno che riesca ad interpretare i tempi e a far parlare i sé con qualcosa di notevole, comunque parlando di qualcosa di contemporaneo, altrimenti si continua a riciclare le stesse cose di anni fa.

Luca: Una band che sta andando bene sono i Power Trip, hanno ripreso gli stessi suoni degli anni ’80, a livello di sound non inventano nulla, però il messaggio sono riusciti a declinarlo verso persone della nostra età. In America riempono molto, fanno diversi festival anche in Europa come Rock Am Ring, Download, e comunque si sono formati il nostro stesso anno.

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