HEIDEVOLK – Non si tratta di musica, ma di storie

by Irene Donatoni

Poco prima della loro entrata in scena a fianco di Korpiklaani, Arkona e Trollfest sul palco del Simm City di Vienna, siamo riusciti a raggiungere Joost e Koen degli Heidevolk per carpire loro un’intervista. Abbiamo parlato del nuovo album, ovviamente, e di musica. Ma soprattutto di testi e della loro realizzazione.

English version


Salve ragazzi, grazie per la disponibilità! Ormai sono 15 anni che siete presenti sulla scena folk metal. Avete festeggiato? Come?

Joost: Abbiamo fatto davvero molto: intanto un mini tour, poi mangiato e bevuto un po’… ma non in maniera “selvaggia”, questa volta.

Koen: Sì, abbiamo fatto un paio di show speciali, soprattutto nella nostra regione, scegliendo dei set particolari per poter mettere in pratica qualche pezzo in versione acustica. Abbiamo reintrodotto in questo caso il violinista che suona dal vivo, non solo sulla traccia. Di questi show abbiamo registrato un DVD.

Joost: E abbiamo fatto un barbecue, ti ricordi? Solo con i membri della band, ma è stata un’occasione speciale!

Sempre assieme ai festeggiamenti per il vostro quindicesimo anno, avete fatto uscire un nuovo album questo gennaio. Com’è andata? Com’è stato accolto?

J: In verità abbiamo avuto un po’ di problemi, perché volevamo registrare alla fine dello scorso anno. C’era un po’ di pressione e anche la stampa metal si aspettava che facessimo uscire l’album entro quel termine. Comunque, nonostante il disguido, il pubblico sembra entusiasta!

Avete reintrodotto molti più pezzi e strumenti folk ed un coro di ben 24 membri. Come mai questo cambio di rotta rispetto a “Velua” e su cosa vi siete focalizzati di più?

K: Bisogna tenere a mente che ogni album degli Heidevolk è incentrato su un argomento particolare, su una storia. Per quanto riguarda “Velua” eravamo concentrati sulla nostra regione di provenienza, Veluwe, e quindi ogni canzone era dedicata ai miti, alle leggende, alla natura di quella zona. Ma questa volta è più simile a Batavi, infatti abbiamo voluto parlare di tribù che combattono l’una contro l’altra e che si muovono in quella che ora è l’Europa. E poi il declino dell’Impero Romano… insomma, il tema è prettamente storico. In verità è stata “Velua” l’eccezione rispetto a quello che trattiamo di solito. Vedi, i testi sono il tema principale della nostra musica. Quindi i testi e le storie che ci sono dietro ad ogni canzone vengono prima, poi arriva la musica. La combinazione dei due elementi deve rendere l’idea e l’atmosfera della storia.

J: Sono d’accordo, come ha detto Koen abbiamo seguito il filone del crollo dell’Impero Romano e quindi della riappropriazione dei territori da parte delle tribù: loro avevano perso la loro identità, avevano venduto tutto… e finalmente avevano la possibilità di ritrovare i loro luoghi e riformare quelle gerarchie tra persone e tribù che in precedenza li avevano visti formare una civiltà, un ordine sociale.

Ecco perchè “Il fuoco della resistenza” (il significato di “Vuur Van Verzet”)… 

K: Le canzoni generano questa atmosfera di resistenza e di trovare la forza in se stessi di combattere per ciò che è proprio. Dire che questo è nostro. Parlando della musica in sè, “Velua” era quasi melodico… il nuovo è più forte, aggressivo, potente.

J: Ma ci sono anche storie che trattano del cercare una nuova terra… i Sassoni e gli Angli sono andati in Gran Bretagna ed è il motivo per cui abbiamo la canzone “The Alliance” in due lingue, perché da una parte ci sono le popolazioni del Baltico che si dirigono verso quei territori – e quindi parlano olandese – e poi ci sono le popolazioni della costa in Inghilterra – e quindi c’è la parte in inglese. Li hanno da una parte invitati e dall’altra, alla fine, sono stati sostituiti.

Parlate con molto trasporto di questi testi. Ponete molta attenzione quindi al processo di ricerca delle informazioni…

K: Sempre. Questo è il nostro intento. In prima battuta non si tratta di musica, si tratta di vicende da narrare. E dell’intera composizione. Pensiamo molto alla Storia, ai fatti, ma ci mettiamo del nostro partendo dal nostro cuore e dal fatto che siamo orgogliosi del luogo da cui proveniamo. Ma sia chiaro: in senso positivo e propositivo.

J: Su questo punto devo aggiungere che in effetti gli album riflettono quello che è successo nella band. Qualche membro ha lasciato negli ultimi anni e quindi abbiamo dovuto trovare continuamente un nuovo equilibrio. L’emozione deriva anche da questo, dalla combinazione tra quello che viviamo e le storie che approfondiamo.

In effetti è stato rischioso cambiare in poco tempo entrambe le voci, una sfida!

K: Siamo contenti di quello che ne è venuto fuori (ride)!

J: Eh già, non si può mai sapere… per fortuna Lars aveva lavorato con noi al penultimo album, a “Velua”. Quindi è come se noi avessimo cambiato una sola voce. Anche se rispetto agli anni precedenti c’è stato un cambio totale. Comunque ormai siamo insieme da tre anni e funziona bene!

Tornando ai testi, non trovate che sia rischioso sottolineare così tanto questi temi, ovvero le origini, la tradizione, ora che l’Europa si trova ad affrontare alcuni tipi di estremismo che si fanno forti di questi simboli? Che ruolo ha l’artista in tutto questo?

K: Assolutamente sì, c’è questa possibilità che quello di cui parliamo venga usato in un’altra prospettiva. Voglio solo dire: “non ci appartiene”. Noi guardiamo alla Storia.

J: La cosa più rischiosa con gli estremisti o con i controestremisti, che sono estremisti a loro volta, è che non prestano attenzione, non è che ascoltano la Storia, semplicemente perdono interesse. Per esempio, sai cosa è successo alle Olimpiadi? I norvegesi non hanno potuto indossare le divise che erano state prodotte per loro perché raffiguravano delle rune. Ma dico… le hanno usate per centinaia di anni, perché non gli si dovrebbe permettere di usarle solo perché 70 anni fa qualcuno mandò tutto all’aria? Ma in generale ci tengo a dire che non abbiamo una particolare idea politica…

K: …o programma. Non ce ne frega niente della politica, ci interessiamo solo al passato.

J: Noi speriamo che la gente impari piuttosto una lezione, invece di tornare indietro e fare le stesse identiche cose.

Quali lezioni ad esempio?

J: Impegno. Per “Velua” una lezione è “basta starsene sul divano!” Spegnete quei televisori e guardate cosa succede nel vostro vicinato, che tipo di storie ci sono. C’è un tesoro inesplorato di vicende ed esperienze ovunque. Ovunque! Potrebbe essere solo un ponte, ma andiamo a vedere come si chiama! Che cosa significa, perché è stato chiamato così? Si viene poi a sapere che c’era magari un villaggio lì, oppure un posto speciale o una connessione… è così facile e veloce! Ma ormai la gente guarda Netflix…

Parlando invece della parte musicale, non trovate ci sia un aumento delle band che seguono questo genere? Quanto è difficile distinguersi dalle altre band folk/pagan metal?

J: Penso che per noi sia una cosa naturale. Perché noi siamo nati seguendo due vie, in sostanza: da una parte la questione vichinga, dall’altra quella della band folk metal. Noi abbiamo voluto combinare queste forze.

K: Da lì è partita l’idea dei due cantanti. Questo è il nostro elemento più caratteristico. In questo senso definirei gli Heidevolk come una sorta di strani outsider della scena. Se guardi anche solo al nostro sound c’è qualcosa di tipico e che arriva principalmente dalle due voci. E poi il tipo di metal che facciamo è in qualche modo più legato al rock, andiamo nella direzione quasi degli AC/DC, non pensiamo a cose come: oh, qua dobbiamo mettere un pezzo veloce, con blast beat eccetera. Come abbiamo detto parte sempre tutto da com’è la storia … e quando abbiamo la storia la musica arriva.

J: Ogni tanto capita che ci accorgiamo che non abbiamo dato il giusto tono alla storia e quindi si rinuncia e si ricomincia il processo.

K: È anche il motivo per cui siamo contenti di aver reintrodotto più strumenti folk. Ci permette di lavorare molto in questa direzione. L’essere una band metal ci sta, ma arriva dopo.

Avete progetti per il futuro?

J: Ci sono abbastanza storie da raccontare. Per quanto riguarda le registrazioni, siamo ancora in una fase iniziale rispetto a quello che vogliamo intraprendere. Vorremmo anche lavorare su un album acustico, non ho idea di quanto potrebbe richiedere, ma questa è l’idea.

K: Un vero album acustico, per intero. Solo le voci, due chitarre acustiche, il violino e strumenti medievali, percussioni.. quindi sempre più folky.

J: Lo scorso anno abbiamo impostato un set acustico di trenta minuti, proprio per festeggiare il quindicesimo anno. Ed è stato interessante perché il festival era black/heavy metal, con i Satyricon. Abbiamo deciso di creare qualcosa di completamente diverso e la gente si è goduta il concerto. È stato magnifico.

Concluderei parlando invece del fatto che state curando sempre di più la parte video e media in generale…

J: È qualcosa che ormai sta diventando un decorso naturale. Stiamo per far uscire un nuovo video-clip per “A Wolf in My Heart”. Innanzitutto ci piace essere creativi. Ma ormai è fondamentale ed è una tendenza in crescita. Ormai tutto è media, è così normale fare qualcosa e semplicemente fare una foto o un piccolo video da postare.

Vi disturba che le persone ai concerti tirino fuori il cellulare e facciano foto o video?

J: No, assolutamente. È un modo per avere in mano un pezzo di quell’esperienza. C’era tipo quel concerto con Robbie Williams dove 60,000 persone stavano facendo foto in un determinato momento, tutte quante. Con 60,000 flash! Oh, non possiamo farlo perché l’hanno già fatto loro, ma è stata una grande idea!

K: Se ci vedi dal vivo, capisci che non è un problema per noi. Anche perché sul palco accadono un sacco di cose: siamo sei persone, suoniamo, corriamo, saltiamo… è uno show da vivere pienamente, anche noi ci stiamo divertendo! E la gente vuole partecipare. Ci sono persone che non pensano nemmeno di tirare fuori il cellulare e filmare perché c’è tanto da fare e guardare!

J: E non credo che fare un video e guardarselo a casa possa procurare lo stesso divertimento (ridiono)!

K: Proviamo comunque ad usare questo mezzo in maniera creativa. Abbiamo detto alla gente di girarsi e fare un selfie con noi. È bello perchè è ridicolo e abbiamo detto alla gente: “questo è il vostro momento!”

Immagino, della serie “ora o mai più!”
Grazie ragazzi per la vostra disponibilità e per aver approfondito la questione dell’uso della Storia nella musica… ora vi lascio che avete da fare, alla prossima e buon concerto!

J&K: Grazie a te e un saluto ai lettori di MetalPit!

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