LABYRINTH – Siamo una band che appartiene al passato e la musica che creiamo è come fotografia di una vita vissuta!

by Dario De Marco

In occasione dell’uscita del nuovo album “Architecture of a God” (qui la recensione) abbiamo avuto il piacere di fare una chiacchierata in particolare con Olaf Thorsen, il chitarrista della band. Buona lettura!


Ciao ragazzi, come state?

Ciao Dario! Tutto bene, grazie mille.

Come ci si sente finalmente dopo una pausa di 7 anni a tornare a suonare e divertirsi ancora insieme?

È una bella sensazione, a prescindere, perché in fondo fare musica è quello che ci diverte e che ci dà anche quelle sensazioni che abbiamo sempre inseguito fin da ragazzini ma, al tempo stesso, a livello di dinamiche inerenti i media ed anche con il pubblico, inteso come social media e forum, abbiamo notato una differenza notevole, non sempre in positivo, almeno per quanto mi riguarda.

Come è nata l’idea di rinforzare la nuova line up con John, Oleg e Nik nella band?

Nel momento in cui abbiamo veramente deciso di tornare con un disco nuovo, abbiamo affrontato quello che in fondo sapevamo da molto tempo: la band doveva ripartire con una formazione capace di credere al 100% in quello che stavamo facendo ed in grado di farci mantenere un livello qualitativo altissimo. I nomi scelti sono dunque arrivati in questa ottica e, alla luce di quanto hanno fatto, siamo contentissimi e sicuri del fatto che non avremmo potuto scegliere di meglio.

Per i nuovi membri, John, Oleg e Nik, quali sono i pregi che avete riscontrato a collaborare con Roberto, Olaf e Andrea?

Lavorare con ognuno di loro è stato fantastico e costruttivo, perché abbiamo constatato cosa significa portare qualcosa di proprio all’interno di brani che vengono scritti e pensati in un modo, per poi risultare anche superiori a quanto pianificato, proprio grazie al loro talento e alla loro sensibilità musicale.

“Architecture of a God” è un lavoro molto maturo e con diverse sfumature da quel che ho potuto constatare ascoltandolo in anteprima, ma volete raccontarci qualche dettaglio sulla realizzazione dell’album e dei testi?

Per i testi credo che Roberto potrebbe dirti di più visto che la maggior parte sono opera sua. Io mi sono occupato della title-track , di “Diamond” e in coppia con lui di “We Belong to Yesterday”. Sono testi particolari, che spesso raccolgono al loro interno esperienze vissute, sia come singoli che come band. In alcuni casi, come “We Belong to Yesterday” credo sia chiaro fin dal titolo che il significato va oltre quello che può dire un testo e rappresenta un po’ il nostro manifesto, visto che ci sentiamo a tutti gli effetti una band che appartiene al passato, inteso come modo di intendere e di vivere la musica che creiamo. Non come momento di gloria da esibire per qualche giorno o settimana nei vari media, ma come fotografia di una vita vissuta, che rappresenti quello che abbiamo vissuto fino al momento della realizzazione di questo album. Noi facciamo musica prima di tutto per noi stessi.

Quali sono le sonorità che vi hanno influenzato maggiormente nel realizzare i pezzi?

Non intendo in alcun modo sembrare arrogante o auto-celebrativo, ma per questo album abbiamo tenuto a modello semplicemente noi stessi, come band. Tutto quello che abbiamo scritto, suonato e pubblicato negli anni ci è servito come punto di partenza per realizzare un album che potesse, a seconda dei brani, richiamare il nostro passato o magari proporre alcune sonorità nuove, senza però mai perdere di vista il nostro sound e quello che abbiamo sempre fatto.

Nell’album è presente anche una cover di Robert Miles, “Children”: sembra un po’ lo specchio di “Feel” in “Return to Heaven Denied”, come mai avete scelto di riarrangiare anche un pezzo con sonorità techno?

Perché, semplicemente, anche questo modo di intendere una cover ed un certo tipo di musica apparentemente così lontana da quello che suoniamo noi, fa parte del nostro DNA sin dai tempi del nostro primo album. Se è vero che un po’ queste sonorità si erano perse nel corso degli anni, è anche vero che non le abbiamo mai abbandonate e in questo album ci sembrava importante ribadirle, partendo proprio da un pezzo ancora più famoso e riconoscibile da tutti, rispetto a quelli elaborati in passato, che a volte qualcuno continua ancora a credere che siano pezzi nostri originali!

Qual è la vostra traccia preferita o che vi emoziona di più suonare?

Ognuno di noi ha i suoi pezzi preferiti, ma credo che “Architecture of a God” e “We Belong to Yesterday” mettano d’accordo un po’ tutti all’interno della band. Non vediamo l’ora di suonarli dal vivo!

Rispetto agli anni ’90 e i primi duemila avete trovato cambiamenti nella scena heavy metal italiana? Quali sono i lati positivi e negativi che avete riscontrato?

Domanda spinosa… personalmente seguo poco la scena, ma trovo che ci siano band molto interessanti e valide. Purtroppo, per chi arriva oggi, non è facile riuscire a farsi strada e costruirsi un nome, perché la musica viene vissuta e bruciata nel giro di pochissimo tempo, spesso solo via internet e nemmeno in maniera fisica… è un vero peccato.

Che consigli vi sentite di dare alle band emergenti in Italia, sugli obiettivi da porsi?

Non credo di essere ai livelli di un santone che possa dispensare consigli e perle di saggezza. Posso solo consigliare di suonare per il divertimento ed il piacere di farlo, di creare musica come se veramente si volesse lasciare qualcosa, che abbia un messaggio al suo interno. Per il resto, che ognuno viva la propria musica nel modo che ritiene più appagante.

Grazie della chiacchierata Olaf, un saluto a tutti voi da parte dello staff di Metalpit, vi aspetto al prossimo concerto!

Grazie a voi e a presto, sperando di vederci live su qualche palco!

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