MAYHEM + DRAGGED INTO SUNLIGHT + INFERNO @ Mostovna, Nova Gorica (SLO) – 07/04/17

I Mayhem portano ormai in giro da qualche annetto il loro capolavoro (e caposaldo dell’intero genere) “De Mysteriis Dom Sathanas”: finalmente è arrivato anche il turno dell’Italia (o in questo caso della vicina Slovenia), accompagnati dai cechi Inferno e dagli inglesi Dragged Into Sunlight. Noi eravamo presenti allo show tenutosi poco oltre il confine, all’ormai ben assestato Mostovna che ha registrato il tutto esaurito. Buona lettura!

INFERNO

Puntualissimi, salgono sul palco gli Inferno, formazione ceca con ormai una carriera ventennale alle spalle in cui il frontman Adramelech risulta essere l’unico membro originale rimasto. Il loro è un black metal abbastanza radicato nella tradizione, ma si nota subito quello che sarà purtroppo il leitmotiv e punto negativo di tutta la serata, ovvero i suoni che risultano essere troppo saturi e indistinguibili (almeno per il sottoscritto, in prima fila e senza i tappi più che mai doverosi in un’occasione simile). Per questo motivo risulta difficile discutere della qualità dell’esecuzione che comunque è sembrata di buon livello, con una sezione ritmica solida e le chitarre zanzarose quanto basta. Dopo circa mezzora, il quintetto lascia quindi il palco per far spazio al gruppo successivo.

DRAGGED INTO SUNLIGHT

Ci spostiamo quindi nel Regno Unito, con questo collettivo di artisti attivo dal 2006 e dedito ad uno sludge/black dai suoni potenti e spaccaossa. L’esibizione di elevata caratura è accompagnata dall’attitudine dei britannici, i quali suonano per quasi tutta la durata del concerto rivolti verso i propri amplificatori che spettinano tutta la platea, con il bassista e il cantante che di tanto in tanto si mostrano al pubblico. La batteria è veloce e precisa, instancabile se non sul finire di un set lungo, intenso e tirato come pochi ma senza mai mancare un colpo pur rilasciando leggermente l’acceleratore. Anche in questo caso vale la stessa considerazione sui suoni fatta sopra, per cui pur rimanendo impressionati da una performance eccezionale (ma forse un po’ dilatata nei tempi) ci riserviamo comunque una valutazione su disco sperando di incrociarli di nuovo in tour. Decisamente una gran bella sorpresa.

MAYHEM

Sono lontani i tempi delle teste di maiale e dell’autolesionismo sul palco: i Mayhem del 2017 sono una realtà completamente diversa, estrema soltanto per merito dei pezzi storici che hanno segnato per sempre la storia di un intero genere musicale. L’iconografia della band norvegese, che ad oggi vede oltre agli storici Hellhammer, Necrobutcher e Attila i chitarristi Teloch e Ghul, si è spostata su lidi più ritualistici, con figure incappucciate, candele, altari e un’atmosfera fumosa come poche se ne vedono in giro. Si tratta comunque di elementi che ben si accoppiano, che piaccia o meno, con quella che è una vera e propria celebrazione di “De Mysteriis Dom Sathanas“, un evento che ha ovviamente generato aspettative gigantesche purtroppo non sempre rispettate per un motivo o per un altro.

Ma andiamo con ordine: la band sale sul palco per iniziare ovviamente con “Funeral Fog” e si nota subito come il discorso suoni cambi drasticamente: le chitarre sono piatte e i volumi decisamente più bassi, dando modo al pubblico di riuscire a sentire effettivamente ciò che i musicisti stessero suonando. L’esecuzione, a dirla tutta, è stata un po’ incerta con Teloch e Ghul che sembravano non riuscire a tenere il passo di un Hellhammer lanciatissimo. Il riposo per le nostre orecchie termina però qui: già da “Freezing Moon” (accolta prevedibilmente da un boato del pubblico) e, soprattutto, “Cursed in Eternity“, le chitarre si fanno talmente sature da obliterare la voce di Attila e il basso di Necrobutcher, oltre a rendere la batteria appena distinguibile nel marasma sonoro. Non è ben chiaro cosa sia successo dietro il mixer, ma sembra che tutto ciò sia stato un effetto voluto dalla band e che la stessa situazione si sia presentata anche durante la sera precedente a Trezzo.
La scaletta, ovviamente, fila via liscia come da copione con qualche intermezzo tra i vari brani: “Pagan Fears” risulta tra i brani più godibili (e anche più attesi dal sottoscritto) e finalmente si può udire chiaramente Necrobutcher in quello che è forse uno dei punti più salienti dell’intera opera, ovvero il giro di basso su “Life Eternal“. La formazione sul palco è gelida, aspetto che si può considerare adatto al genere proposto, ma a volte si insinua l’idea che il gruppo sia lì per svolgere il proprio compito e nient’altro: Hellhammer non si vede mai nel corso della serata e forse il fatto che, a parte due persone, nessuno abbia effettivamente suonato sul disco potrebbe aver influito sul feeling generale (oltre all’intera operazione che ormai può considerarsi di routine per i cinque membri).
Si arriva abbastanza in fretta alla doppietta finale composta da “Buried by Time and Dust” e la title track, che rilasciano una sensazione palpabile di malignità su noi tutti prima che Attila chiuda la serata, prodigandosi in qualcosa come un saluto (più o meno) al pubblico. Il cantante è stato purtroppo autore di una prova quasi intangibile se non in pochi punti per via degli eccessivi volumi, ma ha dato sicuramente il suo grande apporto allo spettacolo con l’esperienza maturata come membro dei Sunn O))), ricco di teatralità e intensità.

Una serata quindi godibile ma abbastanza al di sotto delle aspettative per i motivi sopracitati, specialmente per chi come me porta nel cuore quella perla di rara bellezza pubblicata ormai 23 anni fa. La speranza è quella di rivederli in una delle date open air programmate per l’estate, valutando la resa dello show in un contesto opposto a quello in cui ci siamo ritrovati questa sera.

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