ALMANAC – Kingslayer

by Dario De Marco

Gli Almanac sono una band Power Metal fondata dal chitarrista bielorusso Victor Smolski dopo il suo allontanamento dai Rage e dall’altra sua band, i Lingua Mortis Orchestra. Con questo nuovo progetto, il virtuoso chitarrista amante del Progressive e del sinfonico dà vita a una nuova dimensione musicale, esplorando frontiere che nei Rage non avrebbe potuto esplorare. La band nasce quindi nel 2015, che vedono nella line-up iniziale alcuni dei membri dei su citati Lingua Mortis Orchestra, con i quali Smolski dà vita al primo full length “Tsar”. A meno di due anni viene pubblicato il secondo lavoro, “Kingslayer“, che vede una line-up rinnovata con Athanasios “Zacky” Tsoukas (batteria),  Tim Rashid (basso) e le tre voci confermate dei cantanti Andy B. Franck (già voce dei Brainstorm), David Readman (Pink Cream 69) e la voce femminile Jeannette Marchewka (ex-Lingua Mortis Orchestra).
“Kingslayer” non è un vero e proprio concept, ma tutti i brani sono comunque legati un tema comune: si tratta di storie di regicidi realmente avvenuti nel corso della storia. Quindi non abbiamo di fronte l’ennesimo album Power/Progressive a sfondo epico-fantasy, ma qualcosa che tratta di fatti storici, un lavoro tutto sommato fatto bene e che presenta diverse tracce molto buone, dotate di riff accattivanti e sonorità aggressive che si adeguano perfettamente alle tematiche. Le composizioni sono talvolta ammorbidite dall’uso delle tastiere che sembrano quasi svolgere un ruolo di accompagnamento, inserendo saltuariamente elementi sinfonici, rimanendo confinate in secondo piano rispetto ai riff pesanti che prevalgono rispetto alle melodie nel corso del disco. “Regicide” è un ottimo brano di impatto, carico di pathos, dove le tre voci si alternano alla perfezione, creando un’atmosfera aggressiva che scorre via piacevolmente. In “Children Of The Sacred Path” i riff si appesantiscono ulteriormente e Victor da prova di grande maestria negli assoli. Intro più melodico con la tastiera in “Guilty As A Charged” di cui resta però soltanto l’iniziale illusione perchè ancora una volta Smolski preferisce dare spazio a suoni pesanti e ritornelli ripetuti in maniera quasi ossessiva. “Hail To The King” dà invece maggior spazio alle tastiere, inserendo anche cori epici che lo rendono il brano più azzecato dell’intero album. “Losing My Mind” esplora anche il lato più Progressive, creando intrecci sempre più complessi tra chitarra e tastiera, ma con un ritornello abbastanza catchy e d’effetto. Breve intermezzo melodico con la title-track strumentale che introduce “Kingdom Of The Blind“, un altro dei miei pezzi preferiti, che a tratti ricorda diversi brani degli Avantasia, anche se ben più pesante, mentre “Headstrong” si perde un po’ in refrain melodici in maniera quasi scontata e ripetuta. C’è spazio anche per una piacevole ballad come “Last Farewell“, arricchita da piacevoli atmosfere di flauto dolce e chitarra acustica. “Red Flag” conclude egregiamente e in maniera accattivante un buon album Power Metal che ha esplorato in parte territori più moderni, ma che rimane influenzato anche dalle precedenti esperienze di Victor Smolski, in particolare quella nei Rage, vista la forte presenza di un sound di forte impatto.

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