AUDREY HORNE – Blackout

by Riccardo Basso

Gli Audrey Horne sono una band norvegese attiva dal 2005 con un nome che non può non rimandare alla celebre serie TV “Twin Peaks”. La proposta musicale del gruppo, però, (s)fortunatamente non è complessa quanto la leggendaria opera di Lynch; i Nostri infatti propongono un hard rock radiofonico di semplice impatto. Potremmo dire che sono una versione annacquata dei Volbeat, emblematica in questo senso è per esempio la conclusiva “Rose Alley” che riporta alla mente una versione della band danese all’acqua di rose. Il nuovo album degli Audrey Horne, “Blackout“,  ha dunque un solo scopo, ovvero quello di proporsi come un ascolto spensierato, un pochino come il personaggio della serie, inizialmente. Il disco si apre con “This Is War“, che è il pezzo più aggressivo e anche il più lungo dell’album con i suoi sei minuti abbondanti. Il brano iniziale è un connubio tra i primi Children Of Bodom (quelli di “Hatebreeder”) e i Black Sabbath (difficile non pensare a “Children Of The Grave” ascoltando il pezzo in questione) almeno dal punto di vista musicale, la voce infatti è quanto di più rock ci sia al giorno d’oggi. Si tratta di un album che non regala grossi colpi di scena, tanto che dopo un paio di ascolti si può dire di avere capito buona parte del disco. A seguire troviamo le piacevoli “Audrevolution” e la title-track che ammorbidiscono il sound del primo brano, ma non ne cambiano la formula, dando comunque una panoramica di cosa attende l’ascoltatore. Uno dei brani più interessanti del disco è probabilmente “Midnight Man” che sembra nata per essere suonata live grazie a un piglio particolarmente heavy e ignorante (in senso buono). “Blackout” è un disco estremamente catchy con brani diretti e con una buona presa live, ma ha il problema che a fine ascolto è difficile che rimanga in testa qualcosa di definito. La causa è che le canzoni del disco tendono ad essere tutte troppo simili tra di loro dal punto di vista compositivo e strutturale. L’album in questione è comunque lontano dall’essere un completo passo falso, perché se per esempio si cerca un party-album o comunque un qualcosa di estremamente catchy, con “Blackout” si va sul sicuro. Non aspettatevi dunque il disco dell’anno, ma un lavoro che vuole divertire senza però restare impresso in testa. Diciamo che potrebbe essere il classico disco che si può sentire in sottofondo in un bar il sabato sera, ma che una volta a casa ci si è già dimenticati di averlo sentito sebbene sia stato comunque un ascolto piacevole tra una birra e una battuta.

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