BENEATH THE MASSACRE – Fearmonger

by Nicola Mercuriali

Essere lanciati a centinaia di kilometri orari al di fuori dell’atmosfera è, ancora oggi, un privilegio che ben in pochi si possono permettere e se mai aveste pensato che vi sarebbe piaciuto provarne l’ebrezza, mi spiace per voi, ma, a meno che non siate astronauti pronti per una missione sulla ISS o miliardari con fin troppi soldi da spendere, molto difficilmente vedrete coronare il vostro sogno.
Eppure, anche se non siete tra le due categorie di persone sopra nominate, non c’è bisogno di disperarsi: infatti un piccolo gruppo musicale di Montréal, Quebec, Canada, è attivo da 16 anni con l’intenzione di portare a tutti, anche ai meno fortunati, la sensazione adrenalinica di essere schiacciati da un tir da 300 tonnellate mentre si viene scaraventati in orbita. E devo essere sincero: per quanto essere rovinosamente pestati da onde sonore possa sembrare qualcosa di terribile e volentieri evitabile, i Beneath The Massacre rendono l’esperienza un qualcosa di divino. Se siete interessati a questo tipo di fetish.

Già gli Archspire con il loro capolavoro del 2017 “Relentless Mutation” avevano posto nuovi standard riguardo la comunione tra velocità accecanti e brutalità mirata, ma erano riusciti a guadagnare la corona di band più assurdamente veloce del pianeta solo perché i Beneath The Massacre stavano ancora terminando “Fearmonger“, il loro ultimo lavoro dopo una pausa di otto anni che li ha tenuti lontani dai palchi e dallo studio. Se siete fan del technical death metal senza troppi fronzoli e ancora non conoscete i Beneath, male, ma avete qui una fresca opportunità per rimediare: un album rapido (in tutti i sensi) che va direttamente al sodo senza far perdere tempo all’ascoltatore e che sa come attirare e mantenere l’attenzione degli interessati.

“Fearmonger” è il full-length più corto del gruppo, non arrivando neanche a 30 minuti di durata, ma nelle 10 tracce che sembrano uscire da una mitragliatrice a cartucciera infinita aleggia sempre l’ombra del detto “meglio poche cose bene, che tante e male”, lasciando a tutte le canzoni un sapore unico anche se molto simile tra di loro: l’interesse è solo quello di fare del rovente tech death, non meno. Allora aspettatevi sweep picking e tapping veloci come la luce, riff e assoli fulminei, doppia cassa e rullante che vengono picchiati con violenza inaudita conditi da groove e breakdown scritti e suonati con coscienza del genere e il desiderio di vedervi scapocciare in qualsiasi circostanza.
Le tracce si susseguono sciorinate con maestria da chitarra e basso dei fratelli Christopher e Denis Bradley e (tuonino i cieli!) Anthony Barone (Shadow of Intent, ex live The Faceless e Whitechapel, per dire) alla batteria; accompagnano i testi di Elliot Desgagnés, che (per non dire gridi) canta dei drammi esistenziali che l’uomo moderno è costretto a vivere. La proposta musicale è ben ancorata al passato del gruppo e non esce dagli stilemi a cui avevano abituato i vecchi fan (e proprio per questo non risalta troppo nella discografia dei Beneath), ma sa vestirsi di colori moderni, ricordando a volte i già citati Archspire, e grazie alla sua corta durata riesce a divertire senza stancare, anche se le canzoni si rassomigliano abbastanza tra loro.

Se vi piace farvi esplodere la faccia, questo è l’album per voi.

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