BETWEEN THE BURIED AND ME – Automata I

by Leonardo Cervio

Cosa succederebbe se un giorno i Sogni diventassero improvvisamente la nuova frontiera dell’intrattenimento? Sentiremmo il bisogno e la curiosità di riprodurre su uno schermo i pensieri più intimi e reconditi di un estraneo? Cosa potrebbe rivelarci su un pubblico sempre più alla ricerca di una disperata attenzione? Ma soprattutto, cosa rimarrebbe ai Sognatori?

In un mondo in cui la nostra privacy è ormai alla mercè di chiunque, dove attraverso il Web e i social network tutti possiamo conoscere la quotidianità di tutti, i sogni sono l’ultima barriera dell’intimità: non vi sono dubbi sul fatto che se entrassimo in questo mondo potremmo scoprire un’infinità di cose sull’essere umano di cui forse non abbiamo idea e che abbiamo già iniziato piano piano a indagare, ma vale la pena spingersi fino a questo punto? Nel mondo odierno probabilmente il sapere scientifico verrebbe ben presto prevaricato a favore dell’interesse “comune”, mercificandolo come un bene qualunque. E chi meglio dei Between The Buried And Me poteva provare a descrivere un tale universo distopico, con la loro poliedricità musicale?

Musica poliedrica come i sogni, i progster americani ritornano con un concept album diviso in due parti, la cui seconda parte non ha una data ben precisa (si sa solo che uscirà in estate). Ma cosa aspettarsi da “Automata I“, dopo il centro pieno di “Coma Ecliptic”?

La base prog-deathcore è sempre il punto di partenza delle sperimentazioni della band, e nei sei brani che compongono la prima parte del progetto troviamo le varie anime della band: quella passata, quella del presente e quella del futuro (?). “Condemned To The Gallows“, primo singolo estratto da “Automata”, è la canzone che sperimenta di meno ma che pesta di più sull’acceleratore: il dolce suono di un carillon si staglia su un’atmosfera soffusa, la voce di Tommy Giles sussurra la frase che dà il titolo alla canzone, prima di venire travolti dall’assalto sonoro. La voce del frontman graffia come non mai, ma a colpire è la resa del basso: Dan Briggs disegna melodie mai banali, potenti, avvolgenti, precise, che ci accompagneranno per tutto il disco. “House Organ” e i suoi 3 minuti, più che da canzone vera e propria, fungono da coda della prima canzone e contemporaneamente da apripista per l’ottovolante sonoro di “Yellow Eyes“.

Momento. Momento. Momento. Momento. Sono solo le mie orecchie, o sto sentendo i Voivod??? Personalmente è il primo pensiero che mi è balenato in mente sentendo i primi minuti di questa canzone, e se non fosse stato per il growl di Giles lo avrei pensato veramente. La vena progressive della canzone viene ulteriormente amplificata dalle tastiere, ritrovandoci immersi in “The Outer Limits” e nella schizofrenia musicale; la band abbandona lidi “alieni” per rallentare leggermente i ritmi, spostandosi su atmosfere più distese e di Dream-Theateriana memoria,alternandole sapientemente a sezioni più tirate. Influenze presenti ancora in misura maggiore nella conclusiva “Blot“, meno sperimentale della compagna “Yellow Years” e un po’ troppo prolissa nella sezione centrale. Un senso di incompiutezza pervade la canzone e in generale l’intero disco, ma aspettate l’ultima parte della recensione per formulare giudizi: perché vi è ancora una chicca. “Millions” è l’ultima cosa che ci si aspettava dai BTBAM: canzone che, nonostante mantenga connotati metal, è di una dolcezza disarmante. Dolcezza che tocca picchi di emotività nel bridge centrale, dove la voce di Tommy Giles si fonde alla perfezione con il pianoforte, a far capolino tra chitarre, basso e batteria. Una grande sorpresa.

Detto ciò, ritorniamo al presunto pomo della discordia di “Automata”, ovvero l’incompiutezza: dopo i 35 minuti di grandissima musica, ci rimane la sensazione che manchi qualcosa. Ci eravamo aspettati troppo dalla band e ci ha in parte deluso le aspettative? No, la sperimentazione c’è in quest’album ed è di altissimo livello. L’album è troppo corto? Probabilmente, ma sappiamo tutti noi quanti capolavori del genere sono stati composti in un minutaggio simile. La questione è molto più semplice: tutto sarà più chiaro tra qualche mese, all’uscita di “Automata II”. A quel punto pure il primo capitolo sarà compiuto, e potremmo tirare le somme. In questa interminabile attesa, godetevi l’ennesimo centro dei BTBAM, ma non saziatevi troppo in fretta: il primo va gustato lentamente, in attesa dell’arrivo del secondo.

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