CATALYSIS – Connection Lost

by Luca Gazzola

I Catalysis sono una band scozzese recente, nata nel 2016 a Dundee, per esordire l’anno seguente con la demo “Codeine” e l’EP “Into the Unknown“. Ad oggi hanno pubblicato due EP e questo album, “Connection Lost”, di cui parleremo oggi. Il loro stile vede un groove metal unito a componenti metalcore, e il disco può vantare apporti da musicisti e produttori di rilievo come Mendel byl de Leij (Aborted), addetto al mixing e al mastering, e Phil Dammel (Vio-lence) e Joey Radziwill (Sacred Reich), che compaiono come ospiti in dei brani. Le influenze a gruppi come Sylosis e Chimaira sono palesi, ma senza raggiungerne la brutalità e mantenendosi ad un livello pari a quello degli ultimi Machine Head, adottando anche alcuni accorgimenti come determinate distorsioni alle chitarre e riff melodici che rendono i pezzi edulcorati in certi punti. In poche parole, non sembrano arrivare all’obiettivo che sembrano essersi prefissati, sfornando musica non esattamente brillante e cattiva come i gruppi a cui fanno riferimento, salvo forse i Machine Head. L’album è piuttosto gestibile da sentire, ed è abbastanza omogeneo lungo i 12 pezzi che lo compongono. La durata delle canzoni va da 3 minuti scarsi ai 6 e mezzo, per una durata complessiva di 47 minuti.

Tra le canzoni rilevanti:

  • Drowning in my Head“: terzo brano. Quattro minuti abbondanti tra ritmica pestata e melodica attiva e prolifica in riff orecchiabili, che si pianta in testa a martellate specialmente durante il ritornello scatenato e l’assolo. Questo pezzo grintoso indubbiamente è quello che rimane di più nella parte iniziale dell’album.
  • Brother“: quinta canzone dell’album. Si tratta del pezzo più melodico ma non il più riuscito, e a parte un assolo non esattamente irresistibile scorre abbastanza lineare in maniera abbastanza pesante e scandita nei riff quanto nei ritornelli. Si sentono i limiti che ha questa band, che cerca di conciliare una parte brutale e una melodica leggera ad ogni costo senza poi concludere del tutto.
  • Just Turn Back“: sesto pezzo dell’album. Questo pezzo sembra un po’ imboscato nel lavoro, e forse un po’ a torto dato che si tratta di un buon pezzo thrash/groove: una combinazione tra i Machine Head al meglio con assoli degni dei Metallica ai primi album, e forse un pizzico di Phil Anselmo.

Rispetto a “Codeine” sono riusciti ad amalgamare le melodie nel loro sound, ma hanno perso per strada il growl al limite con il pig squeal e ritmi forsennati, prendendo da un paio d’anni a questa parte uno stile troppo edulcorato. Basta fare un confronto con “Nothing Left“, singolo del 2018 che è una martellata vera e propria con piccoli svarioni al ritornello e assoli corti ma godibili, per vedere che la china è scesa gradualmente. Se vi è piaciuto l’ultimo album dei Machine Head questo album potrebbe non dispiacere e in più tratti sembrare gradevole.

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