DISCHARGE – End of Days

by Giuseppe Piscopo

Sono passati quasi quarant’anni dal lontano 1977, anno in cui nasceva una band che non ha certo bisogno di presentazioni: i Discharge, mostri sacri dell’hardcore punk, inventori del famoso D-beat e fondamentali per molti dei generi estremi che si sarebbero sviluppati dalla prima metà degli anni ’80 in poi (speed e thrash metal, crust punk e quant’altro).
Oggi siamo nel 2016 ed il combo di Stoke-on-Trent, dopo l’uscita di un EP a gennaio, pubblica il suo settimo album in studio ‘End of Days‘ ad otto anni di distanza da ‘Disensitise‘ e quattordici dall’omonimo ‘Discharge‘, disco di reunion con cui Roy ‘Rainy’ Wainwright, Tony ‘Bones’ Roberts e Terence ‘Tezz’ Roberts sono tornati sui classici binari punk di inizio anni ’80. Si tratta anche del primo album con Jeff ‘J.J.’ Janiak alla voce e del primo registrato come un quintetto, ed è un disco che già dal titolo e dalla copertina (monocromatica e con un Weeping Angel in bella mostra, chiaro riferimento alla serie britannica Doctor Who) fa intuire la direzione musicale intrapresa in questo capitolo dai veterani in questione.
Le dichiarazioni della band trovano, infatti, conferma in queste 15 tracce condensate in poco più di mezzora: di queste, solo una supera i tre minuti di durata e tutte ci presentano una band cinica e carica di disprezzo nei confronti del mondo. Il nuovo singer urla senza darsi pace i testi carichi di anarchia e disillusione, a riprova di come le cose non siano poi così cambiate rispetto a quattro decadi fa: si passa da testi politici (ad esempio nell’opener ‘New World Order‘) alla guerra (‘End of Days‘, ‘Looking at Pictures of Genocide‘), dalla critica all’alta società (‘Hatebomb‘) al terrorismo (‘The Terror Alert‘).
Musicalmente non c’è moltissimo da dire, se non che le composizioni si assestano, come di consueto, su ritmi sempre elevati ed aggressivi. Gli assoli di Tony Roberts sono, come da tradizione, in bilico tra cacofonia e melodia, con un gusto quasi rock ‘n’ roll che riaffiora di tanto in tanto. La sezione ritmica è imprecisa quanto basta, il che non è affatto un punto a sfavore in un genere peculiare come quello suonato dai britannici in questione. La produzione è azzeccata in relazione al genere proposto dal quintetto.
Con ‘End of Days‘ i Discharge ci propongono una prova molto convincente. Sono lontani i tempi di ‘Hear Nothing See Nothing Say Nothing‘, ma quest’ultima fatica ci riconsegna una band ancora in piena forma e sicuramente all’altezza dell’ingombrante nome che porta sulle spalle.

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