FRIGORIS – …In Stille

by Sara Di Gaspero

I tedeschi Frigoris ritornano con il loro quarto album “…In Stille” concludendo il concept cominciato nel 2016 con “Nur Ein Moment…”. La nuova fatica in studio uscirà il 24 gennaio per Hypnotic Dirge Records, e il risultato è di buona fattura. Autori di un post-black metal a volte descritto come atmospheric, a volte come melodic, in verità unisce tantissime diverse influenze che andremo ad analizzare in seguito. I Frigoris infatti nascono come band dedita al pagan black metal, ma man mano si evolvono attraverso le varie componenti della loro discografia, in una crescita stabile ed interessante. 

Cominciamo dalle note dolenti, così da tenerle bene in mente: sfortunatamente, rispetto alle produzioni passate (e mi riferisco in maniera particolare al capitolo precedente), “…in Stille” sembra avere una produzione meno curata, che si riflette in una batteria molto poco calibrata e alle volte fastidiosa, specialmente nei primi ascolti, oltre che ad una specie di “patina” che rovina il suono, come se ci fosse uno strato invisibile fra la musica e l’ascoltatore. Dopo qualche ascolto, entrambe le sensazioni si affievoliscono, ma è un piccolo neo che non passa inosservato. 

L’album si divide in otto brani per la durata di un’ora e cinque minuti circa, e a parte un’unica eccezione la durata di ogni canzone varia dai cinque minuti ai dodici. Straordinariamente, nonostante la pesantezza delle atmosfere, i brani scorrono via veloci senza rischiare di cadere nel ripetitivo, fatta eccezione per “Einkehr”, dove i Frigoris sembrano aver perso un pochino lo slancio. 

Parlando quindi strettamente dei brani, “…In Stille” è formato da un post-black ricco di dettagli che mescola momenti che veleggiano sul doom/DSBM (“Stimmen in Regen”) e varie interruzioni o momenti molto melodici, a infondere con essi una profonda malinconia e tristezza. La maggior parte delle introduzioni viene affidata a chitarre che sprigionano questi due sentimenti, ma quando serve viene lasciato spazio alla furia cieca della fiamma nera (“Das Licht In Mir”) o a chitarre effettate che sembrano quasi tappeti di tastiere (“Einkehr”). Si segnala una sfumatura leggerissima di industrial in “Funkenflug”, dettaglio delicatissimo e molto apprezzato; lo stesso brano ha uno dei momenti vocali più intensi dell’intero album, dove il cantante Dominik Winter sembra raggiungere il massimo della disperazione possibile, quasi volendosi rompere le corde vocali. 

Strumento focale anche delle produzioni precedenti è il violoncello, che in quest’album si ripresenta sia nel brano che apre le danze (“Aurora stirbt”) che in quello che le conclude: il meglio di sé però lo dà nella leggiadra “Die Gleise an denen wir sterben (Nur Ein Moment…)”, introduzione acustica al lungo finale dell’album. Quest’ultimo viene affidata alla speculare “Die Gleise an denen wir sterben (…in Stille)”, conclusione dell’album e del concept, riassunto dell’intero album, che vanta un’interruzione quasi assordante e con un finale finto che lascia spazio ad una lunga parte recitata, inquietante e delicata ad un tempo.

Personalmente la più bella dell’album è la già citata “Das Licht In Mir”, piccola gemma in mezzo alle altre: si distingue per un black lento che si trasforma poi in un pesante mid-tempo e dei cori ombrosi, senza perdere di vista la violenza infernale caratteristica dell’intera opera. 

I cori tornano anche in “Scheideweg”, dove però regalano un’atmosfera assurdamente sognante in mezzo ad un mondo desolato; l’intero brano sfocia in un bel finale ritmato da headbang assicurato. 

Capolavoro assoluto? Ni, nel senso che è davvero un’ottima prova che soddisferà palati molto raffinati abituati alle sonorità degli Agalloch o dei Fen, ma personalmente siamo a metà strada verso il vero capolavoro. Rimane una prova molto valida, dall’ascolto caldamente raccomandato, ma… Ci siamo quasi. Ancora uno piccolo sforzo. 

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