GHOST – Prequelle

by Giuseppe Piscopo

Peste, morte e punizioni divine potranno mai andare d’accordo con le sonorità anni ’80, pompose ed easy listening come poco altro al mondo? La risposta è decisamente sì, se tutto ciò è nelle mani di Tobias Fo… ehm, Cardinal Copia (ormai i vari Papa sono nient’altro che reliquie) e dei suoi più o meno fedeli Nameless Ghoul. Le vicende che hanno interessato i Ghost negli ultimi tempi non hanno fatto che accrescere l’attesa per questo “Prequelle“, attesa pienamente ripagata: se con “Meliora” le ottime capacità in sede di scrittura degli svedesi erano ben evidenti, lo sono ancora di più adesso, racchiuse in un disco solidissimo che con l’ormai nota e rodata (sic) “Rats“, introdotta dalle voci bianche e dal carillon reminescente di qualche horror d’annata di “Ashes“, ci porta lungo quaranta minuti di melodie e ritornelli azzeccati in pieno stile AOR ottantiano, che vanno a braccetto con una produzione cristallina e dei suoni enormi che accompagnano in un certo modo la dimensione live di Forge e soci sempre più proiettata verso le grandi arene.

Tutto il lavoro si muove lungo un’alternanza chiaro/scuro, tra tematiche non proprio leggere e aperture ariose: un esempio lampante è “Faith“, terza traccia che si apre con una melodia quasi neoclassica per poi evolvere in un riff granitico à la Tony Iommi degli ultimi tempi e un refrain tra i più azzeccati del lotto. Tutta la produzione presenterà più o meno una struttura simile, con ritmi medio-lenti e con una sezione ritmica a fare da stabile impalcatura per le tutte le melodie e armonie del caso, siano esse vocali, con cori e seconde voci, o strumentali, con i fraseggi e assoli combinati degli ottimi chitarristi Fire ed Aether. La successiva “See The Light“, anche se meno d’impatto con il suo spirito più da ballata, colpisce comunque con un ritornello anthemico e nuovamente legato alla religione (“Drink me / Eat me / And you’ll see the light“), prima di passare alla strumentale “Miasma“, il pezzo che più racchiude l’essenza musicale dei Ghost del 2018. Nei suoi cinque minuti c’è tutto: una prima metà che cresce in maniera maestosa sulla melodia principale per poi aprire la strada alle velleità soliste dei vari Ghoul, dalle chitarre ai synth, per arrivare a un assolo di sassofono quasi commovente per chi ama il trash anni ’80, che porta alla chiusura della prima metà del disco.

Si ritorna quindi a una forma canzone più canonica con il secondo singolo “Dance Macabre“, pezzo da stadio estremamente radio friendly e forse un po’ troppo cheesy a primo impatto, ma che a un’analisi leggermente più approfondita rivela l’ironia con cui le tematiche sopra accennate vengono trattate (basti pensare al ritornello “Just wanna be / Wanna bewitch you/ In the moonlight“) e finisce per incastonarsi alla perfezione nell’insieme, filando via liscia come l’olio. Il nesso con il passato mefistofelico e sulfureo della band non è stato però del tutto perso: “Pro Memoria“, infatti, ci ricorda che prima o poi dobbiamo tutti fare i conti con la Morte e, pur con delle sonorità in linea con il lavoro, riprende in maniera abbastanza evidente la struttura di “He Is“, un memento mori sotto forma di un gospel farcito di pianoforte e organi, un crescendo che ci consegna quello che è il brano più epico del lavoro prima del trittico finale composto da “Witch Image“, altro brano piuttosto catchy, l’intermezzo a forti tinte progressive “Helvetesfönster” (letteralmente “Finestra sull’Inferno“, a simboleggiare le tentazioni dell’essere umano) e la conclusiva “Life Eternal“, delicata power ballad che esplode in un tripudio finale di cori angelici.

È molto difficile trovare dei difetti oggettivi a “Prequelle”, un lavoro il cui livello di apprezzamento è legato più che altro al mero gusto personale. Tante cose si possono dire dei Ghost: proposta musicale commerciale? Sì, decisamente. Macchina da marketing? Innegabile. Altrettanto innegabile, però, è come Tobias Forge, anche a seguito di un forte rimaneggiamento della lineup, sia capace di scrivere delle ottime canzoni con una qualità costante per tutto il disco, e di farlo dannatamente bene. Una cosa per niente scontata al giorno d’oggi.

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