HELLRIPPER – Black Arts & Alchemy

by Edoardo Grieco

Un crudo elogio alle forze del male, una spudorata blasfemia e la volontà di maledire tutto e tutti. È così che potremmo definire “Black Arts & Alchemy”, l’ultimo EP della one-man band blackened thrash scozzese Hellripper (aka James McBain), rilasciato da Reaper Metal Productions, che dal 2014 esporta “kvlt” nei meandri più oscuri e demoniaci del metal estremo.

Sebbene i lavori passati siano un richiamo ai gloriosi primi giorni del black, ricordando i Sodom degli inizi, “Black Arts & Alchemy” tenta di andare leggermente oltre, non tralasciando la becera malvagità tipica di tracce precedenti come “Vomit on the Cross” o “Nunfucking Armageddon 666”. Difatti, nel loro – più che discreto – penultimo release “Coagulating Darkness” è più che evidente come siano presenti le due facce della medaglia: elementi del thrash classico (ricordando a tratti i Metallica di Kill ‘Em All) misti a quelli tipicamente black, ovviamente il tutto condito dall’ammirazione verso il Signore Oscuro.

Le quattro tracce prendono l’ascoltatore per la gola e la durata di dodici minuti e mezzo sembra quasi un “antipasto” di un ipotetico full-length. Forse è questa la volta in cui Hellripper fa un passo al di fuori dell’ombra dei titani quali Midnight e Toxic Holocaust: già dalla prima delle quattro tracce dell’EP, “All Hail The Goat”, si nota come il sound sia composto da sprazzi di punk, speed metal, e ovviamente thrash metal, accompagnati dal sempre presente blast-beat. Per quanto riguarda il cantato, si tratta di tipici scream acidi black metal, che talvolta lasciano spazio a un classico cantato heavy metal anni ‘80; il growl di McBain raggiunge nuove vette, come il deathgrunt in “Decrepit Christ”, anche se la tecnica canora sembra più “controllata” rispetto ai lavori precedenti. Il prodotto finale, quindi, è l’unione di molteplici correnti, tra le quali la più lampante è quella hardcore punk old-school, ricordando a tratti i Mötorhead. Di old-school, a parer mio, c’è anche il mixaggio di Joel Grind: che sia una scelta tecnica per richiamare le vecchie glorie del metal sembra scontato. Ciononostante, ogni strumento ha un suono unico e piuttosto deciso, soprattutto gli assoli e i lead di chitarra accentuatamente melodici. Inoltre, durante l’intero lavoro si assiste a cambi repentini di tempo, in stile NWOBHM, a sottolineare ancora di più la dualità old-school/moderno. Infatti, l’EP oscilla tra il riff-centrismo del blackened thrash e l’aura noir di brani come la title track: insomma, “Black Arts and Alchemy” non spreca un secondo e termina in crescendo con gli scream in falsetto di “Headless Angels”.

In definitiva, appare implacabile nello stile, ma accurato nell’approccio, vanta di riff maliziosi, ritmi martellanti, voci strazianti piene di ira e convinzione: “Black Arts & Alchemy” è sicuramente un EP che piacerà agli amanti del genere o ai “nostalgici”. Forse l’unica pecca è la durata.

Riunitevi e concedete la vostra anima all’Alchimista.

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