INSANITY CULT – Of Despair and Self-Destruction

by Matteo Ferro

Il black metal sembra essere tornato sulle scene alla grande, superato quel periodo in sordina dove di sopravvissuto sembrava esserne solamente il ricordo, i dischi che possediamo e da cui difficilmente ci separeremmo. Tale genere ci ha regalato un 2016 e un 2017 ricco di comeback, chi con gusto, potenza ed eleganza e chi invece ha deluso decisamente le nostre aspettative. Troppe volte ci siamo imbattuti in prodotti che sembrano voler dimostrare chissà che cosa e invece riuscivano a scaturire solo piattume, stanchezza, noia e roba già ascoltata. Differentemente dalle tante release che mi sono trovato ad ascoltare, credo che una recensione decisa e chiara sia d’obbligo per questi Insanity Cult. Ciò che fuoriesce da tutti i pori questo album, si può definire in una parola sola: depressive black metal allo stato puro! Nonostante la provenienza (Grecia), i Nostri riescono ad evocare e catapultare l’ascoltatore nel pieno della Norvegia e delle sue foreste. Già dalla prima traccia, infatti, possiamo affermare che questa band non è fatta per essere ascoltata e inabissata nel dimenticatoio perché regala solo ronzio (come spesso accade nel depressive) o fotocopie di brani oramai scontati.  Tutto inizia con Prologue – The Light That Drowned Itself“, una traccia completamente eseguita dalla chitarra, dove emerge tutta la malinconia e la “depressione musicale” da ricollegare direttamente all’artwork di quest’album (un pino completamente spoglio e desolato). Ciò che differenzia questa band da tante altre dell’underground black metal è la produzione, la pulizia sonora e l’impatto di gran lunga d’attacco tra una traccia strumentale e le bombe atomiche successive racchiuse in questo album. Essere depressive black metal non vuol dire solamente un brano strumentale in ripetizione per 20 minuti e, a seguire, dei brani con chitarra e batteria che sembrano registrati da un walkman dentro un garage di 3 metri quadri. Questo loro lo sanno benissimo, visto che riescono a rinfrescare questo genere (alle volte anche, ahimè, incomprensibile) con una limpidezza e un aggressività che forse a tante altre band fortunate ancora manca. Ciò che mi hanno rievocato (nel senso pienamente positivo) sono in primis i Forgotten Tomb di “Springtime Depression”, per la cornice che riescono a ricreare attraverso le parti strumentali e per le melodie chiaramente riconciliabili. Rimandi innegabili anche a Xasthur, Behexen, Nocturnal Depression, Leviathan, Dumal e Grafvitnir. Difficile essere preparati all’attacco, dopo la prima traccia strumentale e l’intermezzo “Interlude – The Bitter Wind of Remembrance“, visto che la band dà libero sfogo a tutta la malinconia, disperazione e all’animo aggressivo totally black metal, sorretta da una voce fluida ma allo stesso tempo aggressiva (non le scontate urla di disperazione e incomprensione vocale all’ascoltatore) a dir poco impeccabile per il genere che ci propongono. Mi ha entusiasmato molto l’intreccio melodico delle chitarre che fungono da controcanto e da una batteria che passa da midtempo a cavalcate dirette e senza fronzoli. Posso definire personalmente senza entrare all’interno di ogni traccia, che questo album è IL depressive black metal del 2017 e che può essere usato come colonna sonora in qualsiasi momento. Non stanca, riesce sempre a portare l’ascoltatore fino infondo e al giorno d’oggi non è poco! Standing Ovation!

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