NIFROST – Blykrone

by Luca Gazzola

I Nifrost sono un gruppo norvegese nato nel 2005 a Jølster che ha esordito nel 2010 con la demo “Myrket er kome”. In seguito hanno pubblicato un’altra demo, un singolo e due album tra cui questo. Si tratta di un gruppo con influenze black molto solide, con riff veloci fatti principalmente in tremolo con uno stile black inconfondibile e parti leggermente più leggere e melodiche con tanto di cori, in un connubio che ricorda vagamente gruppi come Mistur, Helheim, Dark Funeral e Nordjevel. Nonostante queste influenze, hanno già uno stile loro personale, cosa che non tutti i gruppi riescono a raggiungere al secondo full lenght. Si tratta di un album non molto impegnativo, con pezzi di una durata variabile da 3 a 8 minuti, per una lunghezza complessiva di circa 42 minuti.

Tra le canzoni rilevanti:

  • “Blykrone”: secondo pezzo dell’album. Assieme all’intro “Prosesjon” si arriva a circa 6 minuti e mezzo di musica caratterizzata da riff pestati e cori maschili a rendere un’atmosfera piuttosto positiva ed epica per il genere black. Su Spotify inoltre è la canzone più sentita del nuovo album, con oltre 3000 ascolti.
  • “Tvihalden”: quinta canzone. Si tratta di un pezzo gradevole che risalta, tra le altre cose, dall’utilizzo magistrale dei cori che danno un tono epico al ritornello e dalla presenza di riff orecchiabili, oltre al fatto che ha un’introduzione propria, “Arr“. In questo modo risalta sugli altri pezzi, rendendo la parte centrale dell’album assieme a “Varden” assolutamente valida.
  • “Klander”: decimo pezzo. Trattasi del pezzo più lungo e articolato vista la durata di oltre 8 minuti, con giri scatenati, tecnici e al contempo melodici, tremolo picking generalizzato, cori, intermezzi lievemente più lenti e urla gutturali. Se si volesse avere un assaggio di che cosa consiste questo album questa canzone potrebbe assolvere tranquillamente questo compito, ma non renderebbe del tutto giustizia al gruppo dato che il meglio si trova in altri pezzi accennati in precedenza.

Rispetto all’album precedente le canzoni si sono accorciate da 7-8 minuti a 5, e un po’ omogeneizzate tra di loro, aumentando leggermente la frequenza dei cori e calando la componente folk che si percepiva in “Motvind”, che rimane il migliore album fatto da loro. Lo stile è stato tenuto e affinato, i ritmi forsennati e il tremolo picking sono rimasti immutati ma, nel complesso, l’album è meno vivace e variegato e un po’ più cupo, pur rimanendo gradevole da sentire. Non c’è niente di particolarmente innovativo o stravagante ma nell’ambito black non è niente male comunque.

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