OPETH – In Cauda Venenum

by Francesca Pantano

Dopo il trionfale successo di “Sorceress”, gli Opeth sono tornati a distanza di 3 anni con il tredicesimo album “In Cauda Venenum”. Le dieci tracce che lo compongono danno vita a un viaggio tra sogno e realtà della durata di ben 67 minuti e 44 secondi. Sono state rilasciate due versioni del disco: una in lingua inglese e una in svedese. Nasce proprio da qui l’idea di usare un titolo in latino in modo tale da assegnarne uno unico ad entrambi, senza poi dover apportare alcun cambiamento, come riferisce il frontman Mikael Åkerfeldt.

Il disco si presenta con “Livets trädgård”, brano dalle influenze dungeon synth pronto a dar spazio alle successive tracce, rigorosamente elaborate nel loro inconfondibile stile. Atmosfere oniriche e poetiche la fanno infatti da protagoniste in questo ultimo lavoro, che ha dato un ottimo seguito ai 29 anni di carriera della band originaria di Stoccolma. Il gruppo è così riuscito a maturare in fatto musicale, con un sound più tendente al rock degli anni 70, ma conservando sempre delle idee tipiche della loro natura.

Lo scenario che dipinge quest’opera è definito da brevi dialoghi sparsi nell’album che arricchiscono i brani, in cui anch’essi hanno un ruolo prettamente fondamentale nel loro svolgimento. Possiamo definirlo come uno stile elegante e raffinato soprattutto dalla parte strumentale, accompagnata dalle incantevoli vocals di Åkerfeldt che si amalgamano perfettamente fra di loro.

Ascoltandolo può dare l’idea di intraprendere un viaggio senza fine. E gli Opeth, nel coinvolgere l’ascoltatore, ci sono riusciti fin troppo bene: l’accoppiamento delle chitarre acustiche con quelle elettriche sono solo una delle tante particolarità che rendono “In Cauda Venenum” un album degno di nota, per non parlare delle atmosfere mistiche e rilassanti che esso trasmette. Inoltre, non bisogna sottovalutare la partecipazione degli altri strumenti che contribuiscono al suo sviluppo, donando sostanza e sentimento ad ogni traccia.

Non è di certo da tutti progettare un album nella propria lingua madre, specialmente se si tratta di gruppi molto noti nel panorama della scena musicale odierna. Questo particolare arricchisce il loro stile grazie all’armonia dello svedese, devota accompagnatrice dall’inizio alla fine di un lavoro ben elaborato e scritto. All’interno del disco, brani come “Minnets yta“, ” Hjärtat vet vad handen gör” e il gran finale di “Allting tar slut” sono solo alcuni di quelli che descrivono la maestosità e l’ingegno di una nuova uscita made in Sweden, capace di soddisfare anche i palati più raffinati.

L’alternanza di suoni ardenti a quelli dolci rende l’album pioniero nell’interpretare le diverse sfumature, che si possono notare in modo genuino e di buon effetto procedendo man mano nell’ascolto. Ci si addentra musicalmente in un mondo tra i confini del reale e dell’immaginario, senza via d’uscita, pronto a rapire l’ascoltatore fin dalla prima volta.

L’arte della conoscenza delle lingue gioca un ruolo fondamentale in questo disco e anche la sua versione in inglese ha le sue qualità e i suoi punti di forza. Si contraddistingue in primis il cambiamento nel modo di accostare la voce alle parti strumentali, dove appunto possiamo notare una certa differenza nella strutturazione dei brani in quest’ambito. Un altro aspetto che dà beneficio è quello di far trasmettere facilmente i propri messaggi agli altri: a differenza dello svedese, che coinvolge essenzialmente un pubblico “locale”, con l’inglese si riesce a raggiungere un numero decisamente più ampio di persone essendo una delle lingue più parlate al mondo.

Rispetto alla prima versione aggiunge senza ombra di dubbio un nuovo punto di vista al suo ascolto, rendendolo più comprensibile e vicino a noi. Regala un cambiamento che, magari, non sarà  sul suo stesso piano, ma che riesce in ogni caso a rendere scorrevole e fluido l’ascolto dell’album.

Entrambi i dischi sono molto validi sia in termini di qualità audio che di lavoro post produzione. Ciò testimonia una crescita costante e fruttuosa di un gruppo sempre aperto a nuove idee. “In Cauda Venenum” rappresenta la risposta a chi vuole approfondire il loro genere e scoprire nuovi pezzi. Insomma, un disco per chi va a caccia di emozioni e non ha paura di aprirsi a nuovi stili musicali.

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