OPETH – Sorceress

by Alberto Olivi

A due anni da Pale Communion, tornano per la Nucler Blast gli Opeth con Sorceress, disco con il quale maturano pienamente il loro passaggio ad un genere che ricorda più il prog anni ’70 che il progressive death con cui sono diventati famosi. È stata una scelta azzardata, infatti con Heritage la band svedese di sicuro ha perso molti dei suoi fan più accaniti e, se vogliamo, elitisti. Ma con Sorceress assistiamo ad un lavoro molto più consapevole ed omogeneo: Åkerfeldt e compagni hanno saputo unire le spinte progressive con l’aggressività e la complessità tipica dei loro album.

Sorceress è un disco dalle atmosfere oscure e pesanti, ma non diventa mai noioso. L’album si apre con un pezzo strumentale per chitarra classica, sembra quasi una ninna nanna per il carattere sognante. Ad accompagnare le chitarre, una voce femminile. Se in questo momento l’ascoltatore sta quasi per sognare, ecco che arriva invece la title track: tutto diventa fumoso ed oppressivo. Sorceress è stato il primo singolo ad essere rilasciato per promuovere l’album. Riconosciamo l’impronta prog anni ’70 dai suoni scegli per le chitarre e la batteria e si può distinguere il timbro tipico di un Hammond. La voce calda di Åkerfeldt si sposa bene con il mix, i delay e i riverberi aggiunti contribuiscono a rendere l’idea di stare dentro ad una casa chiusa e fumosa, l’antro di una strega, appunto.

Il ritmo e l’oscurità si fermano per la durata del secondo singolo pubblicato, Will O The Wisp: qui prendiamo una metaforica boccata d’aria e apriamo le finestre dell’antro anche se di fatto si tratta di un pezzo un po’ malinconico. Le chitarre acustiche la fanno da padrone e l’assolo dal carattere blues ci riporta come sonorità ai primi lavori della band. Dopo questi 5 minuti di pace, Chrysalis: il ritmo è incalzante, la voce strozzata, benvenuti all’inferno.

Altri due pezzi strumentali e ambient con l’aiuto di strumenti tribali come i bonghi spezzano il panico ma creano l’attesa per i brani finali del disco, Era e Persephone (Slight Return). Era sembra la risoluzione della tensione creata per tutta la durata dell’album, è la luce alla fine del tunnel. Durante l’assolo sembra di districarsi in una giungla e “uscir a riveder le stelle”. La voce femminile sussurata su Persephone (Slight Return) infine sembra salutarci e ringraziarci.

Se Heritage e Pale Communion sono risultati difficili, noiosi o semplicemente non riusciti, consiglio vivamente l’ascolto di Sorceress senza pregiudizi. È un disco che fa sognare, pur essendo progressive si lascia ascoltare senza essere complesso o comprensibile solo dopo più ascolti. Un applauso agli Opeth, aspettando di vederli live al Metaldays 2017.

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