REASONS BEHIND – Project M.I.S.T.

by Luca Gazzola

I Reasons Behind sono un gruppo bolognese nato nel 2010 che ha esordito due anni dopo con l’EP “Ouverture“. Nel 2014 hanno pubblicato il loro primo full length, “The Alpha Memory“, e dopo un paio di singoli hanno rilasciato questo secondo album ad agosto, dopo essere passati per più batteristi e un paio di bassisti. La loro proposta è un symphonic metal con pesanti influenze pop e alternative, e un uso smodato di tastiere ed effetti esterni che dovrebbe accompagnare la componente ritmica composta da una batteria quasi onnipresente e costante, un basso essenziale e chitarre anch’esse piuttosto di supporto visto il ruolo che hanno normalmente. “Dovrebbe” perché in più punti sovrasta completamente lasciando emersa solo la voce femminile in pulito. Le influenze principali fanno riferimento agli Amaranthe e, in misura minore, i Within Temptation (con un registro di effetti diverso), ma con un registrazioni e mixaggio più edulcorati, elettronici e plasticosi, e per certi versi anche più anonimi. Inoltre, ogni volta che inizia un assolo di chitarra o un riff più pesante e orecchiabile si ha l’impressione che venga stroncato per ridare lo scettro a voce e tastiere. A parte qualche punto saliente l’album va avanti regolare, talvolta annoiando e talvolta rimandando in maniera eccessiva agli Amaranthe, come se non avessero sviluppato del tutto un proprio stile a parte aggiungere qualche bridge sincopato o qualche riff angora gestibile. Le canzoni sono 11 di una durata omogenea da 3 minuti e mezzo ai 4 abbondanti per una durata complessiva di quasi 36 minuti.

Tra le canzoni rilevanti:

  • Ghostwired“: quinto pezzo. Un brano equilibrato e gestibile, nonostante si vedano tutti i limiti descritti prima: batteria ineccepibile, chitarra sottotono e non incisiva (anche se più che in altri pezzi) ma con uno degli assoli più lunghi, di 10 secondi scarsi (superato solo da quello di “Fireflies in the Wind“, che va oltre i 20 secondi, ma niente di particolare da segnalare, e quello di “No Dawn To Come“), e soprattutto voce e tastiera che giganteggiano. Un pezzo che rappresenta bene l’album: corto, falsamente vivace e non ti lascia niente.
  • Binary Stars“: ottava canzone dell’album. Uno dei pezzi più vivaci e godibili del disco, grazie soprattutto ad una ampia ma studiata profusione di effetti e suoni, la voce che osa decisamente di più e la sezione ritmica che, anche se discontinua, quando serve fa il suo lavoro.
  • Between Here and Awake“: nona canzone. Non è chiaro cosa sia e perché sia qui, dato che si tratta di 80 secondi di sottofondo musicale a cui sono stati aggiunti spezzoni ovattati presi da “Living a Lie“, “Beyond the Black“, “Ghostwired“, “Shades of Neon“, “A Hidden Thread“, “Fireflies in the Wind“. Non si capisce se doveva essere un trailer dell’album che hanno voluto aggiungere, o un filler prima delle ultime due (apprezzabili e apprezzate, soprattutto “No Dawn To Come”) canzoni.

Rispetto all’album precedente si è allargato il ruolo delle tastiere a discapito degli altri strumenti, rendendo i pezzi più plasticosi. Ciononostante si ha avuto una omogeneizzazione dei brani, che erano più variegati in “The Alpha Memory” tra intro, outro e stumentali. Si è cercato di compensare con composizioni più grintose, ma che difettano sempre di qualcosa, che sia di convinzione o proprio tecnica, puntando a riff e ritornelli più semplici che però non fanno presa. Persino la voce, che è in prima linea dall’inizio alla fine, è piuttosto sottotono e non fa più del minimo sindacale salvo poche eccezioni, e questo dispiace. A chi fanno impazzire gli Amaranthe questo album potrebbe anche andare giù, ma può stufare rapidamente, non spingendo a riascoltare l’opera. Con un paio di eccezioni, ovviamente.

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