SHINING – X – Varg Utan Flock

by Leonardo Cervio

La magia della musica è quella di regalare emozioni, riuscire a trasmettere le pulsioni, le idee, i pensieri più oscuri e reconditi della psiche umana e condividerli con il mondo esterno. Questo microcosmo personale può raggiungere altre persone, le quali possono vedersi riflessi in questa sfera: in quel momento, la musica diventa parte di loro, che sia una singola canzone, un album oppure l’intera produzione di una band/artista.

Ma se in questo tuo microcosmo (musicale e non), a fare da dominatori incontrastati sono il suicidio e la disperazione, allora puoi aspettarti tre reazioni. O vieni etichettato come pazzo; o la gente si avvicina alla tua musica e alla tua personalità, perché è insito nella psiche umana una segreta attrazione verso l’estremo e il “diverso”; o, infine, c’è chi ti prende a modello, perché in quella sfera emotiva ritrova tutto sé stesso, e non desidera altro che entrarvici.

Niklas Kvarforth è passato attraverso tutte queste fasi con il suo progetto SHINING: da testimonianze di suicidi commessi sotto la (parziale) influenza della sua musica, da concerti al limite della follia fino al venire etichettato come pazzo da altri membri della scena black metal (da cui è il primo a dissociarsi), non si può non riconoscere come la sua figura sia completamente fuori dagli schemi, musicalmente parlando e non. Ma quanto è fuori dagli schemi la sua indole, tanto profonda ed emotiva è la sua musica, capace di regalare capolavori del calibro di “IV-The Eerie Cold”, fino ad arrivare alle sperimentazioni di “IX-Everyone, Everything, Everywhere, Ends”. Ma ora è tempo di addentrarci nuovamente nel suo microcosmo.

X – Varg Utan Flock“è uno degli album più sfaccettati degli Shining, e continua quel lungo e costante percorso evolutivo della band, che da un black metal dalle venature doom degli esordi ha inseguito derive progressive per cercare di esprimere al meglio e in maniera sempre diversa i demoni e i conflitti interiori al mastermind. Niklas non ha mai voluto essere accostato alla scena black metal: se vi aspettate di trovare batteria in blast beat continuo e chitarre furibonde per tutta la durata dell’album siete totalmente fuori strada. Il suicidal metal non necessita di essere catalogato dentro dettami e stilemi ben precisi: il fine ultimo è ricreare il microcosmo suicida, isolarsi dal mondo esterno “pieno di vermi” (citazione di Kvarforth) per accogliere i demoni e farsi guidare da loro. L’opener “Svart Ostoppbar Eld” ne è l’emblema: a una prima parte lanciatissima e guidata dal growl di Niklas, si contrappone una seconda parte più progressive e dall’andamento meno lineare, guidata dalla voce sofferta e dai lamenti del vocalist, dove la band gli si mette a totale disposizione creando un’atmosfera pesante. Non prima di un’ultima, lacerante accelerazione, aperta ancora una volta da un urlo straziante di Niklas.

Ma siamo solo all’inizio di un viaggio: un viaggio che attraversa i vari lati del microcosmo suicida del cantante, sapientemente miscelati e realizzati tramite le varie influenze musicali. Perché se gli Shining fanno parte di una scena a sè stante, è anche merito del loro eclettismo musicale: a momenti più ricercati e intimi, dove le influenze jazz e di musica classica sono più marcate, si contrappongono frangenti dove la batteria ci scaraventa in faccia una cattiveria disarmante, mentre le chitarre e il basso ci intrappolano in un’atmosfera sulfurea, come in “Gyllene Portarnas Bro“. La prima parte dell’album si conclude con “Jag Ar Din Fiende“, la traccia più progressive dell’album in cui troviamo come ospite Andy LaRocque (suo è l’assolo), un po’ sottotono rispetto alle prime due ma comunque di buon livello.

La seconda metà dell’album è quella più interessante, dove il lato emotivo prende il sopravvento e gli Shining si lasciano definitivamente andare, nonostante la contrapposizione violenza/calma/violenza si riscontri anche qua divenendo, alla lunga, un po’ ripetitiva e scontata. “Han Som Lurar Inom” è il manifesto della malvagità di Niklas e dei suoi demoni interiori: la sezione strumentale che intervalla le strofe è qualcosa che non si può descrivere, si può solo ascoltare e soffirne. Di una bellezza tale che è un peccato riprenderla nuovamente durante la canzone, come accade nell’ultima parte, perchè l’impatto emotivo è minore: ma al genio si perdona pure questo, e di fronte a una composizione del genere bisogna solamente inchinarsi. “Tolvtusenfyrtioett” è un intermezzo di pianoforte, che si contrappone magnificamente alla violenza della traccia precedente e funge perfettamente da intro, con il suo andamento lento e malinconico, all’ultima traccia. La Desolazione fatta Musica: non si potrebbe descrivere meglio “Mot Aokigahara“, una traccia che già nel nome è un manifesto (Aokigahara è una foresta giapponese soprannominata “La Foresta Dei Suicidi”) e che viene resa magnificamente dagli arpeggi acustici. Arpeggi che sembrano raccontare gli ultimi, strazianti tentativi di non cedere al suicidio, da qui il titolo traducibile con “contro Aokigahara”. Un suicidio che però è puramente fisico, dato che moralmente e spiritualmente è gia stato compiuto, ed è lo stesso Niklas a confidarcelo durante la canzone (“I was born December 1983, and I died December 2017“). A cosa si riferisca il vocalist è sconosciuto, ma ciò è voluto, perché siamo noi a doverlo scoprire, e ognuno di noi può scovare qualcosa di nuovo. Ma tutti questi discorsi sono spazzati via dall’ultima, spiazzante e gelida accelerazione, che porta via con sè il suicida dentro la labirintica foresta di Aokigahara, da cui uscirne è impossibile.

Più che un album, gli Shining ci restituiscono un nuovo viaggio dentro la mente di Kvarforth: un viaggio dove la cattiveria e la malvagità lasciano piano piano spazio alla desolazione, alla rassegnazione, il tutto incastonato in un’atmosfera pesante che amplifica l’impatto emotivo. La produzione è pulitissima e molto curata, ma col senno di poi una produzione un po’ più sporca e grezza avrebbe giovato a un album leggermente ripetitivo nella struttura delle canzoni, ma che ovvia a questo problema variando il background musicale: black, progressive, jazz, classica. Non sarà ai livelli del capolavoro “IV”, ma “Varg Utan Flock” ci dimostra come una band si può rinnovare continuamente, senza perdere di qualità. Un inizio di 2018 col botto.

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