THE PETE FLESH DEATHTRIP – Svartnad

by Luca Gazzola

I The Pete Flesh Deathtrip, a distanza di tre anni dal primo album, ritornano con Svartnad. Questo gruppo è nato come progetto solista di Pete “Flesh” Karlsson, chitarrista e cantante che ha suonato nelle file di vari gruppi (Flesh, Maze of Torment, Deceiver, Harmony…), in collaborazione con Henrick Borg che ha contribuito a registrare batteria e voce secondaria.

Il disco è composto da 8 canzoni che vann12366195_1658656217757023_7851444223370445285_n-2o dai 4 ai 7 minuti, per una durata complessiva di 45:03 minuti. I suoni sono puliti e il missaggio non è male: consente, infatti, di sentire con la giusta consistenza la batteria che alterna blast scatenati a ritmi semplici, il basso messo a diversi volumi nelle canzoni e che dà uno spessore unico. Le chitarre, a livello suoni, si rifanno a svariati generi e danno qualche gradevole assolo, mentre la voce è particolare per il genere: non si tratta del solito growl ma è più leggero, simile alla raucedine mista a growl riscontrabile nel doom. Il genere è una miscela tra black, death e doom metal, con tracce di melodic, che conferisce alle canzoni un’atmosfera oscura e sinistra: un inizio cattivo, le canzoni migliori dopo e infine l’ultima, la più lunga e title track, che funge da outro.

Tra le canzoni rilevanti:

  • The Winter of the Wolves: sesta canzone. Intro rapido death, per poi rallentare i ritmi con un riff caratterizzato da una ritmica tipicamente doom, che in questo pezzo è più presente che negli altri. Non c’è un vero e proprio ritornello, ma l’assolo lento e lungo dà una marcia in più.
  • She Dwells Into the Dark: settimo pezzo dell’album. Intro lungo per poi smorzare i ritmi come la canzone precedente, ma con la differenza che gli strumenti hanno un ruolo più importante dando un groove potente tra una strofa e l’altra. Sei minuti che passano quasi senza accorgersene.

Rispetto al primo album i suoni sono cambiati, puntando sul black, e le ritmiche sono più simili al doom che non al death-black trovato su Mortui Vivos Docent, ma sono rimasti inalterati lo stile e le atmosfere che si creano ascoltando le canzoni; le parti melodiche sono raffinate e rendono l’album gradevole. Alcune delle migliori canzoni rimangono comunque nel primo album, ma i The Pete Flesh Deathtrip non hanno deluso le aspettative.

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