THECODONTION – Supercontinent

by Luca Gazzola

I Thecodontion sono un gruppo romano nato nel 2016 dal bassista G.D. e G.E.F. alla voce. Il loro esordio risale alla demo “Thecodontia” nel 2018, seguita dall’EP “Jurassic” dell’anno seguente. I due militano tra l’altro in gruppi come Batrakos, in Framheim, Veia e in Perpetuum Mobile, utilizzando talvolta altri pseudonimi, oltre ad altri gruppi per conto proprio in passato. Il genere proposto nel loro primo album, intitolato “Supercontinent“, è un black sperimentale con influenze death, che prende ispirazione da gruppi come Mitochondrion e Mithras. Le registrazioni sono grezze al punto giusto e il mixaggio fa risaltare i due bassi (dettaglio atipico, data anche l’assenza delle chitarre) pesantemente distorti e una batteria furiosa, oltre ad una voce gracchiante e cupa. L’album procede inesorabile, implacabile e in maniera rocciosa per 11 pezzi di una durata che va dai 2 ai 7 minuti e mezzo per una lunghezza complessiva di circa 45 minuti.

Tra le canzoni rilevanti:

  • Ur“: terzo pezzo. Se si dovesse riassumere l’album in un brano, questo e “Vaalbara” sarebbero piuttosto adatti: riff pesanti come macigni, bassi e batteria che fanno da padroni e voce che ribadisce la brutalità del pezzo. In questo pezzo spiccano i passaggi melodici del basso nell’intermezzo e soprattutto nel finale, un’autentica ciliegina sulla torta che chiude il pezzo in maniera magistrale.
  • Tethis“: ottava canzone dell’album. Per avere la conferma che c’è stata una evoluzione dai lavori precedenti basterebbe sentire questo brano. Arriva a malapena a 2 minuti, trattandosi quindi di un intermezzo che spezza il ritmo, ed è per gran parte composto da effetti esterni dove bassi e batteria si prendono una pausa. Funge da caricamento prima delle sassate finali.
  • Pangea“: decimo brano. La batosta finale, oltre ad essere il pezzo più lungo dell’album. Leggermente più omogeneo e meno brutale rispetto alla prima parte dell’album, mostra appieno tutti gli accorgimenti introdotti dal gruppo in questi ultimi tempi dopo “Jurassic”, mantenendo pur sempre una base incattivita e una voce furiosa. È stato messo prima di “Panthalassa“, strumentale, che chiude l’album in maniera molto pacifica, quasi in chiave doom, discostandosi nettamente dal pezzo precedente. In pratica la sua controparte in ogni senso.

Rispetto l’EP precedente i suoni sono meglio registrati e leggermente meno grezzi, e lo stile è stato in parte preservato nonostante ora sia più articolato, con pezzi più lunghi ed una gamma di suoni e arrangiamenti più ampia. In particolare, la componente death è stata leggermente ridotta, e la deriva blackened che faceva da padrone in “Jurassic” è stata alleggerita per ottenere black più “standard”. Non si tratta comunque di un gruppo leggero, sotto ogni punto di vista. Superata l’iniziale perplessità si hanno due strade: o lo si considera cacofonia o li si adora, senza mezze misure.

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