UNPROCESSED – Covenant

by Luca Gazzola

Gli Unprocessed sono un gruppo tedesco recente, nato nel 2014 a Wiesbaden. Ha esordito lo stesso anno con l’album “In Concretion”, per poi pubblicare due anni dopo l’EP “Perception”. Si sono fatti un nome suonando con gruppi come Monuments e Betraying the Martyrs in un tour europeo di promozione del primo album. Come ci si potrebbe aspettare da un album progressive, le canzoni in questo “Covenant” sono molto curate come struttura e accordi, la qualità di registrazione è elevata (salvo qualche raro caso in cui lascia a desiderare), così come il mixaggio che che riesce a non trascurare nessuno tra chitarre molto tecniche, basso ritmato, batteria misurata, voce che passa dall’essere potente in una versione sporca e un po’ gracchiante al divenire tranquilla con il pulito e tastiere che non rubano spazio agli altri strumenti nonostante il ruolo sostanzioso. Il genere è effettivamente progressive, ma le influenze si sprecano creando una miscela originale di djent, industrial, post, metalcore, melodic, e un pizzico di symphonic. È un album che scorre senza alcun intoppo pur con salti da parti rapide e pestate ad altre leggere o melodiche, e conta dieci pezzi di una durata variabile dai due minuti e mezzo ai sei minuti e mezzo per una durata complessiva di poco meno di 50 minuti.

Tra le canzoni rilevanti:

  • Malleable“: quarto pezzo. Se si immaginasse un ipotetico incrocio tra Meshuggah, After the Burial e Fallujah probabilmente verrebbe fuori così: riff ritmati e sincopati, componenti melodiche e atmosfera tenue e soffusa come un sogno. Un pezzo inconfondibile.
  • Exhale“: nona canzone dell’album. In questo pezzo come ospite esterno si è aggiunto Vincent Schmitz, cantante degli Aeons of Corruption (anche se non è l’unico “esterno” dato che anche il bassista, David Levy, milita in entrambi i gruppi). In questo pezzo particolare, inoltre, l’influenza djent è tanto predominante da diventare praticamente il genere del brano. A chiudere il tutto sono le tastiere a dare atmosfera e i giri melodici dei bridge che alleggeriscono il tutto in modo da non renderlo monotono. Le influenze dei due gruppi coinvolti si sentono, ma gli Unprocessed mantengono la loro identità.

Rispetto all’album precedente i pezzi sono molto più tecnici e stringati nelle tempistiche (solo tre pezzi superano i sei minuti di lunghezza), oltre al fatto che si è puntato molto di più al core e al djent rispetto al melodic che predomina nell’album di debutto, che puntava più alle influenze post metal che qui sono pressochè assenti o poco percepibili. Insomma, da “Perception” in poi è stata presa una deviazione netta rispetto a prima. Rimane un grande album, con uno stile personale e una miscela di generi azzeccata e tutte le carte in regola per farsi apprezzare da fan di core, djent e in parte di progressive.

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